Orientati al risultato o alla tecnica? Gestione dell'apprendimento e del successo

Orientati al risultato o all'apprendimento
Quando scendiamo su un campo da tennis dovremmo avere in mente una scala di obiettivi chiari. Il primo obiettivo che viene immediato perseguire è quello di ricercare la vittoria, il successo. Tutti vogliono vincere: credo sia un'aspirazione connaturata con la maggior parte delle personalità.
Cercare la vittoria a tutti i costi potrebbe però distogliere la nostra mente dai mezzi che ci servono per raggiungerla. Non dobbiamo fare della vittoria un obiettivo astratto perché questa condizione potrebbe renderla una chimera difficilmente raggiungibile. L'idea vaga della vittoria non chiarisce nulla sugli strumenti e i metodi che servono per raggiungerla. In fondo la vittoria, in ogni campo, dipende dai mezzi e dai modi utili a perseguirla.

In guerra, in economia, in società ed anche negli sports per raggiungere un successo dobbiamo utilizzare dei mezzi, degli strumenti. È necessario imparare ad usarli per sfruttarli nei modi e nei momenti giusti. Anche il nostro corpo è da considerare uno strumento che può essere utilizzato in modo tecnicamente più o meno efficiente per raggiungere un determinato risultato. In atletica leggera abbiamo solo il nostro corpo da utilizzare secondo una tecnica che rende il gesto più efficiente a seconda che si tratti di salto in lungo, in alto, dei cento metri piani, dei centodieci a ostacoli, del lancio del peso o del disco.

Nelle attività che prevedono l'utilizzo di un'attrezzatura la tecnica potrebbe essere più sofisticata ma lo scopo è sempre lo stesso: sfruttare nel miglior modo possibile ciò che abbiamo e ciò che possiamo utilizzare per raggiungere un obiettivo. Primeggiare, vincere, dare il meglio di noi stessi sono quindi da considerare obiettivi indiretti non raggiungibili immediatamente ma solo attraverso il raggiungimento di obiettivi intermedi. Una conseguenza logica è che non si possono raggiungere gli obiettivi finali se prima non si raggiungono quelli intermedi.

In linea generale il ragionamento è corretto, ma in situazioni concrete si potrebbero verificare condizioni in cui questa relazione non appare così immediata: perché il successo o l'insuccesso possono dipendere anche da condizioni esogene come la qualità dei nostri avversari ed il livello di soddisfazione e appagamento personale.

Il processo di crescita tecnica e tattica può quindi, in alcune circostanze, trovarsi bloccato nel proprio sviluppo dall'interazione di questi due aspetti. Se le conoscenze che sono state acquisite sono sufficienti per giocare, competere e vincere con gli avversari che si incontrano di solito potrebbe subentrare a livello psicologico una soddisfazione e un appagamento personale che impedisce di mettersi nuovamente in gioco.

A questo punto innescare un processo di cambiamento può essere difficoltoso perché modificare qualcosa nella propria tecnica, anche con l'intenzione di migliorarsi, ha come conseguenza immediata quella di commettere qualche errore in più. Si potrebbe quindi essere restii a provare nuove cose in partita perché usciamo dalla nostra abitudine di gioco con il rischio di incorrere in sconfitte inaspettate. Una volta ottimizzato un modo di giocare, anche se non il migliore possibile, uscire da questa zona di comfort non è scontato né semplice. È necessaria una focalizzazione su obiettivi chiari e considerare sconfitte, errori e passaggi a vuoto come inevitabili nonché parte integrante del processo di cambiamento e miglioramento.

Troppo spesso l'obiettivo immediato del risultato fa perdere di vista l'obiettivo più a lungo termine di miglioramento che ci siamo prefissi.
È opportuno, quindi, non essere troppo orientati al risultato ma più orientati alla corretta esecuzione tecnica, all’apprendimento. Ovviamente il modello tecnico di riferimento dovrà essere talmente solido, certo, sicuro, da potervi riporre tutta la nostra fiducia.
La vittoria è da considerare un obiettivo indiretto, funzione della corretta esecuzione tecnica, infatti se l'esecuzione è corretta le probabilità di incorrere in errori diminuiscono e aumentato le probabilità di vittoria.

L'importante è non adagiarsi, non impigrirsi in condizioni di gioco e abitudini che fermano il processo di sviluppo. Un miglioramento è sempre possibile, un perfezionamento sempre alla portata di tutti. Lo spirito che deve animare il nostro gioco deve essere quello della ricerca continua di un progresso, di uno sviluppo ulteriore.

Recentemente lo sciatore Marcel Hirscher, vincitore di sette coppe del mondo generali, cinque di gigante e cinque di slalom speciale, ancora in attività, ha dichiarato in un'intervista che pensa di poter avere ancora dei margini di miglioramento, soprattutto nella curva a sinistra.

«Vedo la possibilità di gareggiare ancora più veloce, di migliorare certi passaggi nel corso di una manche: per esempio la mia curva verso sinistra, in gigante. Non ho ancora raggiunto il massimo delle mia potenzialità. Manca ancora un po’».

In queste parole non c'è nessun riferimento diretto alla vittoria ma si evince quale spirito animi quest'atleta, che è sempre orientato al proprio miglioramento tecnico. Se riuscirà nei suoi intenti le conseguenze saranno altre vittorie. È però disposto a mettersi in gioco prendendo nuovi rischi che potrebbero farlo incorrere in errori inaspettati.
La stessa mentalità dovrebbe essere connaturata in tutti coloro che praticano attività sportive ad ogni livello, perché se ritiene di poter migliorare un atleta di livello mondiale a maggior ragione chiunque possiede dei margini di miglioramento.

L'ansia da prestazione, il timore di perdere, l'ossessione del risultato assumono, se inseriti in questo contesto di crescita personale, un significato e una rilevanza diversi. Una sconfitta all'interno di questo processo non può che avere un sapore meno tragico, ma non solo, se è funzionale al proprio miglioramento diviene uno strumento utile, addirittura indispensabile.
Al contrario, un atteggiamento finalizzato al solo raggiungimento del risultato rischia di essere controproducente per la crescita tecnica, professionale e personale, perché si confonde il fine ultimo con gli strumenti necessari per raggiungerlo. Non possiamo migliorare una vittoria, una vittoria rimane una vittoria. Possiamo invece migliorare gli strumenti necessari al suo raggiungimento e secondo questa logica vittoria e sconfitta divengono solo degli indicatori dei miglioramenti personali raggiunti.

Nei campi da tennis, non di rado, si vedono troppi comportamenti che sono il sintomo di giocatori orientati al risultato immediato della vittoria, tali persone, in fondo, non fanno altro che precludersi la possibilità di una crescita, perché per vincere a livelli superiori servono abilità migliori e per migliorare la proprie abilità è necessario sbagliare, mettersi in gioco, rischiare, considerare vittoria e sconfitta semplicemente due feedback, due indicatori, e non il nostro obiettivo finale.

Il box di battuta, la ricerca della palla e l'anticipo

Il box di battuta nel Baseball
Colpire tanto per colpire non è un'ottima idea. Quando corriamo per raggiungere la pallina dovremmo avere in mente, in modo chiaro, come e dove prenderla. Ci sono dei punti di riferimento precisi che dovremmo sempre avere in mente. Spalle e ginocchia sono i limiti di altezza entro i quali dovremmo colpire. Sopra le spalle non è possibile effettuare nessun movimento di discesa, mentre sotto le ginocchia la testa della racchetta scenderebbe troppo e l'attrezzo non rimarrebbe parallelo al terreno. La conseguenza sarebbe quella di non poter permettere una corretta risalita senza scodellare la palla eccessivamente verso l'alto. Inoltre quando la palla è ormai scesa troppo i colpi di attacco sono ad alto rischio se non addirittura preclusi.

Se non avete mai giocato a baseball sappiate che questo sport fornisce utili indicazioni riguardo al box ideale di battuta di una palla. Ci sono analogie con il tennis. Lo scopo del lanciatore nel baseball è quello di non far colpire la palla al battitore cercando di lanciarla nell'area di strike. Il battitore non si muove ma aspetta la palla giusta da colpire allineano dell'area ottimale. Una delle qualità dei battitori risiede proprio nello scegliere la palla giusta da "girare", come si dice nel gergo tipico del baseball. Cercare di colpire palle fuori dall'area di strike non è una buona idea poiché al quarto lancio fuori da quest'area, ovvero al quarto ball, il battitore può raggiungere la prima base. Sarà assegnata una base gratuita cioè senza che il battitore abbia dovuto colpire valido. Si chiama anche "walk" (camminata), perché il giocatore può camminare verso la prima base. Non vi è quindi motivo di prendersi dei rischi per cercare di colpire una palla troppo bassa, alta, eccessivamente vicina al corpo o lontana.

L'area vista da davanti
Nel tennis la situazione è diversa perché il nostro avversario cerca di indirizzare la palla il più lontano possibile dal nostro box ideale di battuta sia lateralmente che in altezza, cercando rimbalzi molto alti o molto bassi. Noi non siamo fermi ma dobbiamo spostarci per cercare di effettuare il colpo all'interno del box ideale di battuta. Un tennista non può scegliere la palla giusta da "girare" deve cercare di farla diventare giusta. Per raggiungere questo obiettivo sono fondamentali tre qualità: coordinazione, rapidità e lettura della traiettoria.

Gli spostamenti dovranno essere coordinati in modo da consentire di raggiungere il luogo dell'impatto mantenendo l'equilibrio e riuscendo a fermarsi prima di colpire. La coordinazione è essenziale anche nel trovare la distanza laterale dalla palla per evitare di rimanere troppo distanti o troppo vicini. Gli spostamenti dovranno essere rapidi: la palla va raggiunta prima che esca dal box di battuta dal lato del fondo campo, altrimenti colpiremo in ritardo e nella peggiore delle situazioni l'avversario avrà messo a segno un vincente.

Per svolgere questo compito il tempo è una risorsa fondamentale. Se si è più rapidi si ha più tempo, ma si ha più tempo anche se si riesce a partire prima. La lettura della traiettoria del colpo dell'avversario è quindi molto importante. Saper prevedere indicativamente dove cadrà la pallina e come rimbalzerà consente di organizzare i propri colpi con maggiore  chiarezza e tempo a disposizione.

Angolo di uscita dal piatto corde e altezza sulla rete forniscono indicazioni indispensabili affinché la ricerca della palla avvenga nel modo migliore. L'angolo fornisce indicazioni sullo spostamento laterale da percorrere. L'altezza sulla rete è indice di come rimbalzerà la palla.
Imparare a leggere queste due informazioni il prima possibile consente di avere vantaggi che possono rivelarsi determinanti nell'arco di una partita.

Rimbalzo della palla in relazione
al passaggio sulla rete
Riuscire a visualizzare il prolungamento laterale della traiettoria e prefigurarsi il rimbalzo permette di comprendere quanto spostamento a destra o a sinistra dovremmo effettuare. Inoltre una palla che passa alta sulla rete avrà un rimbalzo più alto che tenderà ad essere sopra la spalla, mentre una traiettoria più bassa significherà che dovremmo aspettarci un rimbalzo all'altezza delle ginocchia o più basso. Già questo, anche senza considerare la rotazione della pallina (il top spin tenderà a farla rimbalzare più in alto il back spin a farla rimanere più bassa), consente di avere dei riferimenti su dove posizionarci e su quale colpo dovremmo giocare.

Su una palla che passa alta sopra la rete, per esempio, se non siamo in tempo per un corretto anticipo (colpire prima che con il rimbalzo la pallina superi le spalle) il giocatore dovrebbe avere la pazienza di attendere che ritorni al di sotto di questo livello prima di colpire, cercando di evitare di andarla a cercare all'altezza della testa.

Più un colpo passa rasente alle rete e minore sarà l'altezza del suo rimbalzo. La pallina avrà quindi una parabola meno accentuata ma andrà incontro al giocatore con più rapidità. Sarà quindi necessaria una maggiore prontezza e velocità sia negli spostamenti che nell'esecuzione.

Una conclusione che si può trarre è che non è sempre possibile colpire la palla in anticipo, all'apice del rimbalzo o addirittura prima, per riuscirci è necessario saper scegliere il colpo e aver sviluppato l'abilità di leggere la traiettoria della palla affinché si possa stabilire nel più breve tempo possibile se abbiamo il tempo sufficiente per colpire all'interno del box ideale di battuta.

Traiettorie laterali
Un errore comune che capita anche a giocatori avanzati è quello di arrivare in ritardo, per un calcolo sbagliato o tempi di reazione troppo lenti, e voler cercare di giocare ugualmente un colpo vincente. Se la palla è scesa sotto il livello delle ginocchia, magari su un colpo debole dell'avversario, il momento per spingere con decisione è ormai perso. Dobbiamo superare la rete e far ricadere la palla in campo, il vantaggio acquisito è perduto, il rischio troppo alto.

Se il colpo era alto e la palla è già salita oltre la spalla siamo di nuovo in ritardo se l'intenzione era quella di giocare d'anticipo. Anche in questo caso il vantaggio è perso.
L'obiettivo principale degli allenamenti dovrà essere quello di ricercare di colpire tra le spalle e le ginocchia e con una distanza laterale confortevole, in modo tale da non avere il braccio troppo raccolto verso il corpo e da non dover piegare la schiena o perdere l'equilibrio per raggiungere palle troppo lontane, impossibili da raggiungere con il braccio disteso.

Nel tennis dobbiamo colpire tutte le palle che cadono all'interno del rettangolo di gioco, non possiamo lasciarle come nel baseball, ma la similitudine risiede nel non prendere troppi rischi nel cercare incisività, violenza e vincenti quando la palla è fuori dal box ideale o ai limiti estremi di questo.

Evoluzione, biomeccanica e scienza per l’efficienza del gesto tennistico


Biomeccanica del lancio
Che cos'è la biomeccanica? Fondamentalmente è lo studio dei modelli meccanici con cui le strutture biologiche, quindi vive, compiono determinate attività. Il suffisso "bio" infatti deriva dal greco "bios", che significa ciò che vive.

La biomeccanica quindi studia l’efficienza e l’efficacia delle forme viventi in relazione alle diverse attività che svolgono: volare, nuotare, masticare, correre. Gli esseri viventi che raggiungono un determinato obiettivo saranno da considerare efficaci in merito al compito di riferimento che svolgono. Se ottengono il risultato con il minimo dispendio di risorse saranno anche efficienti nello svolgere quell’attività. Tra tutte le forme viventi o le strutture “predisposte” a un’attività di un essere vivente che sono efficaci ce ne saranno di più o meno efficienti. Infatti l’efficienza valuta il numero di risorse impiegato per raggiungere un preciso risultato.

Possiamo quindi avere uccelli che riescono a volare ad una certa velocità con un dispendio minore di calorie rispetto ad altri; pesci più veloci in acqua a parità di consumo energetico o pellicce che trattengono più meno calore a parità di risorse necessarie a farle crescere. Tutti questi animali saranno da considerare efficaci in merito al lavoro svolto ma si distingueranno per maggiori e minori gradi di efficienza.

Anche il tempo è da considerare una risorsa che rientra nel calcolo dell’efficienza anche se poi andrà relazionato con altre variabili. Infatti se un uccello è in grado di costruire il suo nido in tempo minore, a parità di energia spesa rispetto ai suoi simili, dovrà essere considerato più efficiente degli altri.

Possiamo studiare l’efficacia e l’efficienza anche di un gesto sportivo. Correre, saltare, lanciare. Le attività dell'atletica leggera saranno le più semplici da analizzare da un punto di vista biomeccanico perché l’assenza di utilizzo di un attrezzatura rende lo studio finalizzato all’analisi della struttura dell’atleta e al modo in cui viene utilizzata meccanicamente. Negli sport che prevedono l’uso di un’attrezzatura (sci, tennis) lo studio dovrà necessariamente prendere in considerazione anche le variabili relative all’uso dello strumento o degli strumenti.

Evoluzione e biomeccanica
Tutti gli esseri viventi su questo pianeta sono il risultato di un processo di adattamento per selezione naturale (Charles Darwin). Questo processo non segue un percorso lineare e razionale: si estrinseca attraverso modifiche casuali e adattamenti particolari quindi ciò che vediamo non è necessariamente la struttura più efficiente per svolgere un determinato compito è semplicemente la migliore che si “evoluta” in determinate circostanze. Non è quindi perfetta ma quasi perfetta “quite perfect” come direbbe Richard Dawkins.

Inoltre la pressione selettiva, così come la modifica casuale del dna, si esercita ed esplica sul singolo individuo e non sulla specie (semmai sul gene o pool genico sempre Dawkins) quindi ogni essere vivente anche all’interno della stessa specie avrà caratteristiche leggermente diverse da quelle di un altro. La conseguenza è che la bio struttura di un individuo avrà conformazioni biomeccaniche diverse e con gradi di efficienza diversi in relazione al compito da svolgere. La conseguenza è che avremo serpenti della stessa specie più efficienti di altri nello strisciare; roditori più efficienti nell’aprire nocciole; ghepardi più efficienti nello scatto sui venti metri.

Gli uomini non sono immuni da questa condizione. Abbiamo persone più veloci nei cento metri piani, altre più abili nel tiro a canestro, altre ancora più “brave” nel calciare una punizione o colpire una pallina da tennis.

Non è immediato né scontato tanto meno vero che una struttura efficiente per un compito lo sia anche per un altro, in questo risiede la bellezza della diversità. Chi è bravo in uno sport non necessariamente lo è altrettanto anche in un altro. Le chiamavano predisposizioni. Passaggi da uno sport all’altro, a livello di eccellenza, sono molto rari, se non addirittura preclusi.
Bio strutture diverse hanno efficienze biomeccaniche diverse e quando si parla di primeggiare in ogni ambito, anche sportivo, la minima differenza crea enormi divergenze. Rassegnatevi, il super uomo non esiste e nemmeno la super formica, tanto meno il super uccello.

Le differenze a livello di conformazione fisica non esistono solamente tra individui a causa di condizioni genetiche ma sono dovute anche all’età. Un bambino di dieci anni non avrà la stessa efficienza biomeccanica di un adulto perché la struttura scheletrica, tendinea e muscolare è ancora in formazione. Lo stesso accade per glia anziani a causa di un decadimento qualitativo della conformazione fisica. Semplicemente forza e reattività neuro muscolare variano con l’età ma sono anche funzione dell’allenamento che può migliorare la qualità di un gesto tecnico e renderlo più economico e di conseguenza ripetibile per un per un periodo più lungo di tempo.

Ora ogni essere vivente si è evoluto qui sul pianeta Terra perciò, da un punto di vista generale, dobbiamo tenere in considerazione che ogni forma è stata vincolata nel suo adattamento dalle leggi fisiche e dalle loro manifestazioni su questo pianeta. Forza di gravità, principi di fluidodinamica, aerodinamica, la meccanica, la conservazione dell’energia, l’inerzia costituiscono i vincoli principali a cui le forme viventi hanno dovuto adeguarsi e che poi hanno sfruttato al fine raggiungere adattamenti sempre migliori in relazione alle funzioni da svolgere. Hanno svolto il ruolo di limite ed allo stesso tempo opportunità; rappresentano l’intelaiatura generale del processo evolutivo. Non possiamo chiedere a un Pinguino di volare nonostante sia un uccello, infatti la sua struttura si è modificata per pescare sott’acqua: le ali si sono ridotte e vengono usate come pinne; le loro ossa sono pesanti affinché possano scendere meglio in profondità. Il cambiamento è stato tale che si è modificata anche la funzione svolta dalle strutture biomeccaniche.

Ora dovremmo chiederci se possiamo, nel mondo dello sport, sfruttare la realtà che ci circonda per rendere più efficiente un gesto la cui natura biomeccanica è determinata? Credo che la risposta non possa che essere positiva. Sono ambiti che hanno sempre interagito quindi non vedo criticità nel cercare di comprendere se e come la realtà fisica e scientifica di questo mondo possa divenire complementare e funzionale al miglioramento del gesto atletico.

Naturalmente questa interazione dovrà essere ricercata in situazioni concrete e di relativa e veloce applicazione dal punto di vista tecnico. L’interdipendenza che si instaura a livello evolutivo ha tempi troppo lunghi per la sua realizzazione poiché influisce sulle modifiche biologiche delle forme, perciò non è di nostro interesse in questo caso.

Qui cercheremo di comprendere come determinate condizioni oggettive suggerite dalla scienza consolidata possano essere sfruttate per rendere più efficienti i colpi nel gioco del tennis partendo da una struttura fisica, muscolare e scheletrica data.
Tale efficienza andrà valutata prendendo in considerazione più parametri che vedremo di volta in volta. Economicità del gesto, potenza, consistenza, usura muscolare e articolare, longevità dell’atleta sono alcuni degli argomenti che rientrano in un’analisi di questo tipo.

In fondo se ci sono condizioni che possono portare vantaggi perché non sfruttarle? Perché non imparare a farlo?

Non entreremo nel merito della conformazione biomeccanica se non per richiami d’obbligo e per chiarezza argomentativa ma l’intento sarà quello di trovare condizioni che possano rappresentare un vantaggio per tutte le forme biomeccaniche: bambini, adulti, anziani, atleti. Sono fiducioso che la comprensione dettagliata dei vantaggi si ripercuoterà rapidamente sul miglioramento del gesto una volta chiarite le motivazioni, le profonde valenze e le finalità insite in determinati movimenti invece che in altri.

Aperture newtoniane: Federer, Nadal, Agassi. Caduta del braccio, avambraccio e polso

Velocità dritto André Agassi (testa della racchetta)
Torniamo a parlare di aperture perché l’argomento merita un approfondimento. Come abbiamo visto in precedenza nel momento in cui portiamo racchetta in alto girando le spalle ci prepariamo a sfruttare la forza di gravità in caduta dell’attrezzo e del nostro braccio. Ma ci sono diversi tipi di aperture e diverse modalità per sfruttare l’energia naturale a nostra disposizione.

Aperture più ampie e aperture più brevi hanno propri vantaggi e svantaggi. Riuscire a comprenderle ci permette di poterle utilizzare a nostro piacimento a seconda delle condizioni di gioco. Dovremmo riuscire ad averle bene chiare in mente tutte e visualizzarle in modo appropriato come sosterrebbe Fiona May.

Apertura di Roger con il polso che assume
la posizione a 90 gradi
Aperture più ampie consentono un maggiore spazio di caduta al sistema racchetta braccio e quindi una possibilità di accelerazione in decontrazione maggiore, hanno però come lato negativo quello di richiedere più tempo per la loro esecuzione e quindi in circostanze particolari, come la risposta servizio o dei colpi molto veloci, il rischio è quello di colpire in ritardo.
Dall’altro lato però aperture eccessivamente brevi, se utilizzate sempre, rischiano di condizionare i nostri colpi in senso negativo per quanto riguarda la potenza e le rotazioni per minuto della pallina. Infatti qualora avessimo il tempo necessario per eseguire un’apertura più ampia e quindi un’accelerazione iniziale maggiore questa possibilità andrebbe sfruttata il più possibile. È ovvio sottolineare che riuscire a trovare tempi d’impatto con vari tipi di aperture è una capacità che va allenata con esercizi specifici sul campo. È però altrettanto rilevante possedere un’idea chiara degli aspetti tecnici che ne sono alla base.

Nel momento in cui il nostro braccio inizia la discesa ci sono diversi modi per farlo. Possiamo far cadere l’intero braccio verso il basso dall’altezza della spalla e questo può essere un esercizio che ci abitua alla sensazione di questo tipo di movimento. Ma il nostro braccio ha delle articolazioni e in fase di preparazione generalmente il nostro gomito è flesso, ovvero l’avambraccio è piegato verso il braccio con un angolo che può variare ma che è intorno a 90°. Inoltre per colpire con il polso in iper estensione abbiamo necessità di portarlo in posizione insieme alla racchetta impugnata.
Quindi oltre alla caduta (in realtà parziale caduta) dell’intero braccio dall’altezza della spalla c’è una caduta dell’avambraccio, nonché la messa posizione del polso, che nel caso del diritto avviene una rotazione dell’avambraccio stesso per mezzo della supinazione. Anche in questo caso la caduta della testa della racchetta agevola il movimento. Nel rovescio lo scendere verso il basso della testa della racchetta agevola la pronazione in preparazione.

Ancora Federer con posizionamento del polso durante la discesa
Ovviamente più massa lasceremo cadere dall’alto con maggiore spazio a disposizione e maggiore sarà la sua accelerazione, ma avremo bisogno di più tempo per eseguire il nostro colpo.
L’ampiezza della caduta dipenderà anche dall’altezza a cui colpiamo la palla. La situazione estrema di rimbalzi molto alti sopra la spalla implica che questo tipo di movimenti sono quasi del tutto preclusi. Non è un caso che il rovescio di Roger Federer sulla terra battuta, contro gli alti rimbalzi della palla di Rafael Nadal, sia storicamente andato incontro a un numero di errori elevato.
Possiamo in questo modo vedere una scala di accelerazione progressiva in caduta che parte dalla caduta della testa la racchetta con supinazione nel dritto e leggera pronazione nel rovescio dell’avambraccio, prosegue con la caduta dell’avambraccio e poi con la parziale caduta dell’intero braccio anche a seconda dell’altezza in cui colpiamo una pallina.

Questa catena di accelerazione avrà degli estremi e potrà essere modulata nell’arco della propria ampiezza. Potremmo limitarci a una caduta della testa della racchetta con supinazione o pronazione e cercare l’impatto quando abbiamo meno tempo a disposizione. Potremmo avere situazioni in cui possiamo far scendere anche l’avambraccio e poi avanzare per colpire. Addirittura ci possono essere situazioni in cui, con la palla in arrivo molto bassa, c’è quasi un’intera discesa dell’intero braccio che poi risale verso il punto d’impatto.

I margini limite sono dati da quello che può essere considerato il box di battuta ideale, il quale in altezza va dalla linea delle spalle fino alla linea delle ginocchia. Sopra le spalle questi movimenti sono preclusi a meno che non si utilizzi la tecnica dello smash o della battuta. Sotto le ginocchia, considerato che non possiamo abbassare troppo la testa della racchetta, saremo costretti per quanto possibile a piegare le gambe in modo che questa catena di accelerazione cinetica, che avviene grazie alla forza di gravità, sia possibile senza dover colpire con la racchetta in una posizione simile a quella del cucchiaio utilizzato per prendere il brodo.

Per quanto riguarda il box ideale di battuta sia in altezza che in lateralità credo non ci sia molto da dire ma ce ne occuperemo in un altro articolo. Qui c’è da sottolineare che se osserviamo i giocatori professionisti al rallentatore (e si possono trovare molti filmati su YouTube) possiamo osservare queste dinamiche anche a seconda delle caratteristiche del giocatore. Giocatori più muscolari come Davide Ferrer osservati attentamente rendono chiaro come utilizzino solo parzialmente questa prima fase ideale del colpo. Il loro gesto è molto stretto, molto chiuso, non ha circolarità, e quindi utilizzano molto di più la loro forza di trazione muscolare per colpire la palla.

André Agassi quando è bene in posizione riesce ad alzare bene il braccio racchetta, quindi anche la spalla, e a trovare quindi tutta l’accelerazione possibile iniziale. Mi sembra evidente che gesti più efficienti da questo punto di vista consentano al giocatore che li esegue un maggiore risparmio energetico che si concretizza in un minore sforzo e quindi in un rendimento prolungato nel tempo.

Tale rendimento non è solo da ricercare all’interno della singola partita o del singolo torneo ma anche nell’arco dell’intera carriera. L’immagine di Agassi con i successivi fotogrammi e le velocità del braccio racchetta sono state trovate su Internet e ritenute di libero contributo e divulgazione, come del resto è questo blog. Evidenziano in modo chiaro come la velocità massima venga raggiunta grazie alla discesa del braccio racchetta e a uno sforzo muscolare di accelerazione che ha una valenza contributiva e non assoluta. Le velocità maggiori raggiunte circa all’impatto è dopo l’impatto sono dovute al rilascio dell’energia del braccio verso la racchetta quando il braccio tende a fermarsi.

Nei filmati che riguardano Roger Federer possiamo chiaramente osservare la caduta dell’avambraccio e la distensione al livello del gomito condizione che gli garantisce un’accelerazione in quasi completo rilassamento. Questa tipologia di gesto tecnico è presente anche nei colpi di Rafael Nadal, i quali, anche se possono sembrare più muscolari e forse lo sono in qualche misura, non prescindono da questa condizione che utilizza le risorse fisiche che esistono nell’ambiente e nel pianeta Terra.

Potrete trovare molti video su YouTube in merito a questo argomento quindi non mi metto a lasciare qui links che poi potrebbero essere cancellati in futuro. Inserisco solo alcune immagini di riferimento.

Stay tuned.



Le fondamenta del tennis: la spinta di gambe e l’ultimo passo

Roger Federer in equilibrio dinamico
Le gambe hanno una ruolo fondamentale nella dinamica dei nostri spostamenti è una constatazione ovvia. Senza le gambe non potremmo raggiungere nessuna pallina ad esclusione di quelle che ci arrivano talmente vicine da non avere bisogno di alcun spostamento per essere colpite. Nel tennis, quindi, nessuno può trascurare la funzione che svolgono. Non a caso molto frequentemente si sente parlare di “spinta di gambe”  come di un qualcosa di imprescindibile nell’esecuzione dei colpi fondamentali del tennis. Svolgono quindi un doppio ruolo: il primo permette di raggiungere la palla ed il secondo è funzionale alla corretta riuscita dei colpi.

Ci occuperemo di entrambi gli aspetti ma credo sia opportuno soffermare la nostra attenzione sulla seconda funzione svolta cercando di valutarla nel modo più possibile oggettivo senza attribuirgli una maggiore o minore rilevanza in base a impressioni o idee preconcette. 

Infatti se è vero che per arrivare a prendere la pallina abbiamo bisogno delle gambe è altrettanto limpido che non sono queste che vanno all’impatto, altrimenti staremmo, molto più probabilmente, giocando a calcio. La pallina viene colpita dal nostro sistema racchetta braccio. Quindi cosa si intende realmente con “spinta di gambe”? Qual’è il vero ruolo svolto dalle gambe? Hanno una funzione attiva nel conferire energia? Si limitano a una funzione in qualche modo stabilizzatrice?

È bene cercare di approfondire per evitare equivoci verbali che potrebbero far insorgere abitudini errate nella ricerca di soluzioni tecniche che non hanno reali vantaggi.

Rafael Nadal in equilibrio dinamico
Le gambe non vanno all’impatto ma permettono di controllarlo. Il loro ruolo principale è quello di controllare l'equilibrio durante l'esecuzione dei colpi. L'intenzione non è quella di negare che esista anche una spinta di gambe in senso proprio (indiretta e limitata), ma ritengo che abbia un ruolo secondario e che sia da gestire con la massima attenzione, poiché se usata in modo eccessivo potrebbe compromettere il corretto equilibrio di tutto il corpo.

Il suggerimento che viene dato da molti maestri ai principianti è indicativo del ruolo principale che svolgono le nostre gambe. Infatti spesso si suggerisce agli allievi di mantenere la posizione finale, dopo aver eseguito il colpo, in equilibrio sulle gambe per qualche secondo, e a questo scopo li si invita (o li si invitava) a contare fino a due o a tre, mantenendo l'equilibrio dopo aver colpito.

Le gambe rappresentano le fondamenta del nostro colpo. Sono la base che permette lo sviluppo di tutta la biomeccanica di esecuzione. È quindi fondamentale riuscire a trovare i giusti appoggi, che permettano una corretta esecuzione e che siano talmente solidi da impedire che la velocità del braccio e le parziali rotazioni del nostro corpo (di anche e spalle) abbiano come conseguenza quella di far perdere l'equilibrio.

Tale situazione è evidente in molti giocatori se ci si sofferma a guardare con attenzione i loro movimenti, evitando di osservare la pallina. Non di rado, infatti, la perdita di equilibrio è evidente in tutti colpi fondamentali (dritto, rovescio e servizio). L'allievo o il giocatore sembra quasi cadere all'indietro o lateralmente. Questa condizione di disequilibrio è molto insidiosa perché è veramente difficile rendersi conto di quando avviene e controllarla una volta che si è avviata. La conseguenza principale si rifletterebbe direttamente sui nostri colpi, con errori e punti persi, se dovesse avvenire durante l'impatto o immediatamente prima.

Il nostro swing non deve far vacillare le nostre fondamenta. Per riuscire in questo intento è bene focalizzarsi sull'ultimo passo, in modo che si riesca ad avere un appoggio ampio e solido sia che si colpisca in affiancamento, in open stance o in semi open stance. Riuscire ad abbassare leggermente il baricentro del nostro corpo, piegando le ginocchia, è un'azione che può essere svolta all'unisono con la ricerca di un appoggi leggermente più larghi. Naturalmente è opportuno non esagerare nella ricerca di una base ampia poiché come è evidente, se i nostri piedi sono posizionati eccessivamente distanti tra di loro, tale posizione pregiudicherebbe la rapidità della ripartenza dopo il colpo.

È importante quindi che ogni allievo sviluppi una propria sensibilità nel ricercare il migliore compromesso tra la solidità della propria struttura a partire dalle gambe e la velocità di ripartenza.

Federer con gli appoggi  a terra
In particolare sul rovescio è fondamentale l'appoggio della gamba destra nei destri e di quella sinistra nei mancini. Nella foto possiamo vedere Roger Federer che trova l'appoggio della propria gamba destra, molto solido, e abbassa il proprio baricentro per mantenere la stabilità.

Nei fotogrammi che riprendono i colpi di dritto di Rafael Nadal e Roger Federer ci troviamo davanti delle immagini che potrebbero indurci a fare una valutazione errata, ma ad un'analisi attenta credo che si converrà che, anche in questo caso, non siamo di fronte ad un'azione delle gambe in cui la spinta ha la funzione di trasferire energia aggiuntiva sulla palla ma l'obiettivo principale è quello di riuscire a mantenere l'equilibrio del proprio corpo.

Roger Federer è più sollevato da terra ma se noi lo trasliamo idealmente verso il basso fino a rimettere i suoi piedi sul terreno di gioco troveremo che la sua posizione è una posizione di perfetto equilibrio. Lo stesso accade per Rafael Nadal: se fosse riportato così com'è a contatto con il campo risulterebbe in perfetto equilibrio.

Siamo in presenza di situazioni chiamate di equilibrio dinamico: sono molto frequenti sia in occasioni di palle che rimbalzano alte, sia in occasioni di swing molto veloci che portano con sé la conseguenza della possibilità di una rottura dell'equilibrio verso una rotazione eccessiva del corpo.

Nell'immagine in cui si vedono i tre fotogrammi di Roger Federer è evidente come a fronte di una rotazione delle anche e delle spalle i piedi e le gambe, seppur sollevati, subiscono piccoli cambiamenti e rimangono sostanzialmente in una posizione invariata. Può essere da riferimento anche la posizione del ginocchio sinistro che è sempre rivolta verso la telecamera. Anche in questo caso con una traslazione l’atleta rimarrebbe in asse e in equilibrio rispetto al terreno di gioco. La spinta in alto delle gambe evita l'eccessiva rotazione laterale, la perdita dell'equilibrio, e permette un migliore trasferimento del peso del corpo sulla pallina.

Mentre l'anca si gira verso di noi (facendo riferimento ai fotogrammi) le gambe tendono a rimanere nella loro posizione non seguono la rotazione: la gamba destra rimane indietro e la gamba sinistra rimane davanti svolgendo una funzione di blocco alla rotazione dell'anca. Questo impedisce una rivoluzione completa dell'atleta durante l'esecuzione del gesto. Piedi ben solidi a terra e il sollevamento in alto e parzialmente in avanti hanno proprio il compito di mantenere l'equilibrio impedendo a Roger Federer di divenire una trottola.
Le gambe di Roger cercano di mantenere l'equilibrio in contasto alla rotazione delle parti alte del corpo

Nell'ultima foto è evidente la solidità degli appoggi di Roger Federer, quando non è in fase di salto, i quali contengono la rotazione delle spalle e delle anche, in questo caso in una situazione di equilibrio che non è dinamico, poiché i piedi sono a contatto con il campo.

La costruzione del nostro colpo, sebbene sia il braccio racchetta che raggiunge l'impatto con la pallina, ha la necessità di avere delle fondamenta di riferimento molto solide che sono le nostre gambe. Dobbiamo però cercare di prestare attenzione al modo con cui comunichiamo la funzione da loro svolta al fine di evitare disguidi e malintesi.

Le fondamenta in fondo non ruotano, non spingono, svolgono la funzione di mantenere, sorreggere una struttura in presenza di sollecitazioni che ne minerebbero l'equilibrio.

L’impugnatura nel rovescio a una e due mani

La presa di rovescio della Suarez Navarro.
Una classica easter di rovescio.
Evitare di parlare dell’impugnatura dei colpi di rovescio è impossibile quindi dobbiamo dedicarvi alcune righe tenendo sempre presente che l’obiettivo principale delle impugnature è quello di permettere che il piatto corde rimanga il più possibile perpendicolare al terreno in modo che la palla non venga colpita con angoli eccessivi verso l’alto o verso il basso. Nel primo caso infatti la pallina tenderà ad uscire in lunghezza mentre nella seconda situazione l’impatto con la rete sarà molto probabile. In entrambi i casi il punto sarà perso.

Nel caso del rovescio ci troviamo davanti a due situazioni, infatti esistono due modi per colpire la palla: con il rovescio a due mani e con il rovescio a una mano. E’ quindi più corretto parlare al plurale di impugnature.

Il rovescio a due mani.

André Agassi in presa bimane.
Easter di dritto (mano sinistra)
e continental.
In questo caso le due mani impugneranno in modo diverso la racchetta. C'è un’impugnatura per la mano dominante e una per la mano non dominante.

Per mano dominante si intende la mano più avanzata verso il piatto corde. Nel caso dei destri è la sinistra e nei mancini la destra. Nel rovescio bimane è consigliabile usare come presa della mano dominante l’impugnatura easter di dritto, ovvero la classica impugnatura che viene usata anche nel dritto. A seconda delle caratteristiche individuali si possono fare piccoli aggiustamenti verso una presa più continental o verso una wester di dritto. Sono sconsigliate prese estreme che potrebbero provocare sollecitazioni innaturali alle articolazioni.

La mano non dominante ha maggiori margini di aggiustamento. Può variare, a seconda delle proprie personali sensazioni di gioco da una presa easter di rovescio, che è la stessa con cui si gioca il rovescio a una mano, fino a una continental. In linea teorica potrebbe essere usata anche una easter di dritto anche per la mano non dominante. Si sarebbe costretti però, a flettere molto il polso non dominante, per mantenere il piatto corde perpendicolare al terreno. La sensazione di gioco potrebbe risultare innaturale.

David Goffin in presa a due mani
Anche in questo caso quindi è bene evitare gli estremi. In linea generale più l’impugnatura della mano non dominate tende a ruotare dalla presa easter di rovescio verso la easter di dritto e più siamo costretti a flettere il polso per mantenere in posizione il piatto corde, posizione la cui corretta inclinazione è data dalla mano dominante.

Nel caso del rovescio a due mani siamo davanti a una condizione in cui sia per i destri che per i mancini sono il braccio e la mano non naturale a condurre il colpo e condizionare la posizione del piatto corde. Tale condizione potrebbe sembrare difficoltosa ma l’aiuto dell’altro braccio consente una gestione equilibrata del movimento, nonostante la conduzione principale venga effettuata dall’arto che viene utilizzato con meno frequenza.

Il rovescio a una mano.

Dimitrov compensa con la flessione del polso
In questo caso ci sono due mpugnature che hanno il nome di easter di rovescio e semi western di rovescio. La prima si trova quando la nocca del dito indice è posizionata sull’ottagono in linea con la costa della racchetta. Piccole variazioni in senso anti orario porteranno a chiudere di più il piatto corde verso il terreno, e sono mio giudizio molto scomode anche se nella foto vediamo Justin Henin colpire con una presa molto “chiusa” (semi western) di rovescio. Variazioni in senso orario avranno come conseguenza quella di aprire il piatto corde verso il cielo. L’esempio è quello dell’immagine di Grigor Dimitrov, il quale compensa con la flessione del polso una presa poco chiusa, dove la nocca non si trova posizionata sul lato dell’ottagono in corrispondenza della costa della racchetta. Prese via via più aperte andranno perciò compensate con progressive (a seconda dello spostamento) flessioni del polso che avranno come scopo quello di mantenere la perpendicolarità del piatto con il terreno.

In dinamica di gioco può accadere, a volte, di non avere il tempo per riuscire a ruotare completamente la mano verso la presa di rovescio desiderata. Quando si verificano situazioni di questo tipo la flessione del polso può essere usata per trovare gli aggiustamenti necessari.

Justine Henin, con presa semi wester e polso all'ineato all'avambraccio.
Se è vero che dobbiamo prestare scrupolosa attenzione alle impugnature più corrette e che più si confanno al nostro modo di giocare, è altrettanto vero che non dobbiamo cercare di essere ossessionati dal pensare alle impugnature nel momento in cui giochiamo. Dovremmo abituarci a cambiarle automaticamente senza troppa attenzione cosciente. In fondo si tratta di un gesto relativamente semplice. Uno dei primi che dovremmo rendere immediato e automatico.

Inoltre affinché la nostra attenzione si possa concentrare su alcuni aspetti particolari dello swing, che sono stati e verranno presi in esame in questo blog, gli automatismi delle impugnature dovranno essere dati per acquisiti.

Stay tuned.

André Agassi e l’uso del polso nel dritto

Lo snap di polso di Steph Curry
Alcuni aspetti che riguardano lo sport del tennis sono stati discussi ampiamente ma sembra che non sia stata raggiunta un'intesa. Molte incomprensioni almeno nella maggior parte dei casi derivano però da fraintendimenti dovuti alla comunicazione. Potrebbe essere il caso che si è verificato in merito all’uso o meno del polso, ma potrebbero essersi mescolati anche altri tipi di fraintendimenti che uniscono sensazioni cinestetiche, modi comunicare e abitudini verbali.

L'uso del polso è un argomento discusso che ha lasciato spazio a definizioni ambigue e interpretazioni vaghe. Anche Andrè Agassi fu coinvolto indirettamente nella questione, quando il tennista americano dichiarò un'intervista: "i hit the the ball on the rise and i play with a lot of wrist" (Inside Tennis, Oct/Nov, 2001).

Il noto maestro Vic Branden sosteneva che in realtà il rilascio del polso avvenisse dopo l'impatto, affinché la sua tesi fosse maggiormente suffragata portava come esempio e prova alcuni fotogrammi di filmati che inquadravano i colpi di dritto di Ilie Nastase. Riguardo a questo giocatore, infatti, Peter Horner sosteneva che “la rotazione della palla fosse il risultato di un accentuato rollio del polso” (M. Papas, Revolutionary Tennis). Ne scaturì una discussione articolata. In cui Vic Branden si faceva sostenitore di una maggiore consistenza, regolarità e potenza dei colpi quando si colpisce con il polso che tende a rimanere fermo.

Facendo quindi riferimento al diritto moderno il polso dovrebbe rimanere nella posizione che assume nel momento della preparazione: quindi a 90 gradi o in iper estensione.

C’è da sottolineare che in merito a questo argomento nessuno ha mai chiesto ad André Agassi cosa intendesse quando ha dichiarato: “gioco con molto polso”. I movimenti del polso infatti sono diversi: c’è l’estensione, la flessione e possono essere considerati movimenti similari la pronazione e la supinazione dell’avambraccio. Questi ultimi non sono tecnicamente movimenti del polso ma lo coinvolgono perché permettono all’avambraccio e alla mano di ruotare in senso orario e antiorario.

Mi capitò di ascoltare alcuni commenti del professor Roberto Lombardi che facevano riferimento all’”intra rotazione” dell’avambraccio nel dritto di Roger Federer. Il polso rimarrebbe fermo ma ci sarebbe la pronazione dell’avambraccio. Forse dovremmo fare pace con noi stessi soprattutto con la fisica la quale, in questo universo, non è trascurabile. Il problema credo sia quindi ancora aperto. Il polso si muove? L’avambraccio ruota? Per rispondere a queste domande dobbiamo andare per esclusione e prendere in considerazione alcuni aspetti fisici e geometrici che entrano in gioco nel momento in cui colpiamo una pallina in questo sport.

Credo che sia da escludere che nel dritto ci sia una flessione del polso all’impatto o prima dell’impatto. Per flessione del polso si intende il piegamento della mano in “avanti” come avviene in un tiro a canestro. Lo “snap” del polso non è un movimento tipico del dritto del tennis. Credo sia evidente a tutti che questo eccesivo piegamento del polso non rientri nella tecnica del dritto e tantomeno nel servizio. Portare il polso in estensione e fletterlo in avanti provocherebbe un aumento del margine di errore dovuto a un movimento repentino che riduce l’ampiezza della circonferenza del nostro braccio racchetta. Nel servizio si insite molto sulla pronazione dell’avambraccio, ed anche se, su qualche campo, si sente ancora parlare di “spezzare il polso”, questo modo di comunicare dovrà essere abbandonato a favore di uno più tecnico in grado di eliminare gli equivoci. Nel servizio si tratta di pronazione dell’avambraccio, la quale, per altro avviene prima dell’impatto favorendo una collisione con l’intera massa del sistema racchetta braccio e il trasferimento del peso del corpo. Utilizzare l’asse di rotazione dell’ultima articolazione disponibile vanificherebbe entrambi i vantaggi.

Rimane da prendere in considerazione, escluso lo snap, la pronazione dell’avambraccio nel colpo del dritto ed anche nel rovescio a due mani. Esiste? Porta con sé reali vantaggi in merito a rotazione, velocità e regolarità? C’è da premettere che trattandosi di articolazioni naturali è difficile riuscire a mantenerle ferme in modo assoluto. Inoltre in dinamica di gioco è possibile che necessità dovute al raggiungimento della palla, alla corsa, alla ricerca dell’equilibrio rendano necessari piccoli aggiustamenti contingenti dell’avambraccio e del polso. Ma qui il nostro intento è quello di valutare se la pronazione nel dritto è un elemento essenziale e connaturato, quindi attivamente ricercato, oppure se è una condizione non fondamentale che avviene in circostanze particolari di gioco.
Ampiezza dello swing e margini d'impatto (cliccare sull'immagine per allargare)

Inserire il movimento di pronazione o intra rotazione prima dell’impatto ha come conseguenza quella di far entrare in gioco, come nel caso della flessione, un asse di rotazione che si colloca all’incirca a metà mano. Se impugnate qualunque oggetto e ruotate l’avambraccio in pronazione e poi supinazione noterete che la parte esterna dell’oggetto va in un senso e quella alla fine dell’impugnatura in quello opposto. Stiamo utilizzando un asse di rotazione, che nel caso specifico, per convenzione è quello utilizzato dalle aziende costruttrici per calcolare l’inerzia delle racchette. Tale asse si trova a circa cinque centimetri dalla fine del manico della racchetta. 

Dovremmo chiederci che tipo di utilità avremmo nell’utilizzare sistematicamente quest’asse? La massa composta dalla racchetta e parte della mano che vanno in senso contrario all’impatto non sarebbero direttamente coinvolte nel colpo, poiché si muoverebbero nel senso opposto rispetto a quello del piatto corde. Come nel caso della flessione inoltre questo movimento ridurrebbe l’ampiezza dello swing ad una circonferenza il cui centro sarebbe nell’asse di rotazione e il raggio avrebbe la lunghezza che va da cinque centimetri dalla fine del manico (circa metà mano) fino alla fine della testa della racchetta.

Il margine di errore salirebbe perché si ridurrebbe lo spazio e il tempo a nostra disposizione per colpire con precisione nel centro del piatto corde e secondo le nostre intenzioni. Anche la tempistica di trasferimento del peso subirebbe una drastica riduzione: saremmo chiamati a un sincronismo di movimenti la cui costanza nel tempo sarebbe veramente difficile da mantenere.

Da punto di vista visivo se osserviamo i giocatori professionisti a velocità naturale è difficile rendersi conto di quello che accade con precisione a causa dell’elevata velocità del loro sistema racchetta braccio e dell’impatto che dura pochi millisecondi. La nostra attenzione potrebbe ricadere sul rilascio finale con pronazione, flessione del polso e del gomito, ma questa fase è una conseguenza del fatto che il braccio non può più avanzare oltre il proprio limite fisiologico e quindi si attivano le articolazioni in chiusura del colpo. L’intenzione però deve essere quella di colpire prima di questa fase in quanto i vantaggi ritengo che siano notevoli:

1. Asse di rotazione più arretrato verso la spalla e maggiore massa all’impatto;
2. Swing più ampio e maggiore spazio per l’accelerazione;
3. Maggiore spazio e tempo a disposizione per l’impatto ideale.

Se infatti colpissimo con un movimento di traslazione, cosa impossibile perché il nostro braccio è attaccato alla spalla. In teoria non avremmo problemi di tempismo all’impatto, perché la pallina ci arriva percorrendo una linea retta (il rimbalzo è escluso per semplicità) e la nostra racchetta percorre la stessa linea retta in senso opposto. Ma se la nostra racchetta compie un arco, come sempre accade, il tempo e lo spazio per l’impatto sono nelle vicinanze del punto di tangenza della retta (percorso della pallina) con l’arco percorso dall’ovale della racchetta, quindi più questo arco è ampio e maggiore è il margine di tolleranza per un impatto ideale. Sarà massimo solo quando anche il movimento dell’ovale sarà una linea retta.

L’intento che dobbiamo perseguire sarà dunque quello di colpire con uno swing più ampio possibile utilizzando l’asse di rotazione vicino alla spalla ed evitando per quanto possibile l’utilizzo in flessione e rotazione delle altre articolazioni. Non è da escludere che il Kid di Las Vegas intendesse proprio questo, considerato che stringere l’impugnatura e cercare di far passare mano e polso oltre l’impatto per allungare il movimento può essere definito un modo di usare il polso.

La rotazione e l’anticipo di anche e spalle nel dritto e nel rovescio a due mani

Federer dopo la rotazione e all'impatto
Ruotare nel tennis non è sempre una buona idea, ma a volte siamo costretti a farlo. Quando questo accade dobbiamo sapere come farlo e dove fermarci per evitare che i nostri colpi perdano consistenza.
Non è una buona idea per un motivo molto semplice: rischiamo di perdere precisione al momento dell’impatto perché il nostro braccio e di conseguenza la nostra racchetta sono attaccati al nostro corpo e inevitabilmente costretti a seguirne i movimenti. Quindi se il nostro corpo tenderà a perdere equilibrio o a ruotare eccessivamente sul lato opposto a quello della collisione il numero dei colpi decentrati e dei nostri errori aumenterà.

Però nei due fondamentali di dritto e rovescio a due mani c’è la necessità di ruotare le anche e le spalle. In realtà i movimenti di rotazione sono due: il primo è in fase di preparazione durante l’apertura il secondo è in fase di esecuzione.

Quando siamo in posizione d’attesa le nostre spalle e le nostre anche sono parallele alla rete. Nel momento in cui apriamo avviene una rotazione che posiziona le anche e le spalle ad un angolo di circa 90° con la rete. La nostra spalla sinistra se siamo destri sarà quindi puntata verso la rete nel caso del diritto e sul rovescio sarà invece la spalla destra che si trova direzionata verso la rete; l’altra spalla punta invece verso il fondo del campo. Questo accade anche nel caso in cui si colpisca in open stance. In questa situazione la gamba sinistra nel caso del diritto e quella destra nel caso del rovescio non vengono portate in avanti e non c’è il classico affiancamento, anche di gambe, nei confronti della rete. Ma un affiancamento viene effettuato lo stesso perché c’è sempre la rotazione di anche e spalle che permette al busto di affiancarsi alla rete anche se la gamba non trova il passo di affiancamento. Siamo quindi di fatto affiancati, o quasi affiancati dalle anche in su.

A questo punto siamo di fronte a un problema perché nel momento in cui il nostro movimento parte, quindi quando il nostro sistema racchetta braccio inizia ad accelerare si trova chiuso dalla posizione del nostro corpo. L’ampiezza dello swing senza una rotazione quindi si ridurrebbe, perché il corpo sarebbe d’impaccio al movimento del braccio, ne ostacolerebbe la possibilità di estendersi in avanti. Colpire in questo modo significherebbe avere dei colpi meno efficaci perché il movimento è troppo corto, inoltre il punto d’impatto risulterebbe arretrato dal fatto che la nostra spalla rimane direzionata indicativamente verso il fondo del campo.
Sempre Federer, con un finale in extra rotazione nei fotogrammi finali. La palla è già uscita dal piatto corde nella fase precedente.

Siamo quindi di fronte alla necessità di far tornare le anche e le spalle, il busto, paralleli alla rete. Quando deve iniziare questo movimento? Dopo l’impatto sarebbe inutile, sarebbe come se non lo facessimo. Il riposizionamento perché in effetti si può parlare di riposizionamento va effettuato prima di colpire la palla. Per questo motivo si può anche parlare di anticipo d’anca o anticipo di spalla. Nel momento in cui dopo l’apertura la nostra racchetta scende verso il basso ed inizia ad accelerare grazie alla forza di gravità questo è il momento di iniziare la rotazione delle anche e delle spalle affinché ritornino parallele alla rete.

Le funzioni svolte da questo gesto sono molteplici e comportano degli immediati vantaggi. Il punto d’impatto in questo modo è più avanzato; la rotazione consente un mantenimento della velocità del braccio racchetta, che tende comunque a frenare sia a causa dell’attrito sia perché di lì a poco dovrà affrontare la salita (infatti colpi si portano sempre con un movimento dal basso verso l’alto anche se può variare l’angolo di incidenza); aumenta l’ampiezza dello swing; può essere utilizzato per aumentare la velocità; migliora la visione perché consente di affacciarci alla rete nel momento in cui colpiamo; permette di limitare gli errori sull’incrociato e sull’incrociato stretto poiché se rimanessimo in una posizione laterale questi colpi verrebbero giocati quando l’arco dello swing è in fase di chiusura ed ha un raggio più corto inoltre polso e gomito sarebbero in fase di rilascio.

Se infatti rimaniamo in posizione chiusa l’impossibilità di portare avanti il braccio ha come diretta conseguenza quella di far sì che il nostro corpo inizi a utilizzare gli snodi a sua disposizione più lontani dalla spalla quindi il gomito e il polso. Siamo quindi già in fase di chiusura del colpo con una riduzione dell’ampiezza del movimento ancora maggiore. In questo caso vi sarebbe anche una riduzione della massa utile all’impatto perché non utilizzeremo più tutto il nostro braccio racchetta ma solo una parte di esso, al limite solo la racchetta e parte della mano.

È importante quindi anticipare l’impatto con un movimento dell’anca che ci permetta di riportare le spalle  e l’anca stessa paralleli alla rete. Per questo motivo possiamo chiamare questo movimento anticipo d’anca o anticipo di spalle perché infatti possiamo scegliere dal momento in cui siamo coscienti di farlo se partire con l’anca o direttamente con la spalla non dominante (si intende spalla non dominante quella il cui braccio non impugna la racchetta nel rovescio a due mani è la destra nel caso dei destri e la sinistra nel caso dei mancini).

È importante che l’anticipo venga fatto facendo riferimento mentale alla spalla non dominante (e/o all’anca) e mai alla spalla dominante. Questo perché nel momento in cui decidiamo di effettuare questa rotazione se la nostra mente si dovesse concentrare nel portare avanti la spalla dominante saremmo condizionati a iniziare un movimento di trazione contraendo la muscolatura del braccio racchetta. È bene cercare di evitare questa situazione perché il nostro braccio racchetta è ancora nelle condizioni di poter accelerare in fase di decontrazione muscolare o parziale contrazione. Il movimento quindi è bene che inizi facendo riferimento alle parti del nostro corpo non direttamente coinvolte nell’accelerazione del braccio racchetta. Fin qui abbiamo sfruttato la forza di gravità, l’abbiamo agevolata, perché complicarci tutto rischiando di contrarre la muscolatura della spalla e del braccio avanzando con una forza di trazione muscolare? Esiste ancora in questa fase la possibilità di accelerare o mantenere la velocità acquisita sfruttando la rotazione delle anche e delle spalle. Dobbiamo farlo concentrandoci sulla spalla non dominante e sulle anche in modo che la spalla dominante venga coinvolta in modo parzialmente indiretto, trascinata, come se fosse liberata nel suo avanzamento.

Un ulteriore vantaggio è dato dal fatto che l’energia della rotazione viene poi trasferita al braccio racchetta al momento dell’impatto.
Dobbiamo capire quando iniziare a fermarci, perché l’errore potrebbe essere molto vicino se continuiamo a ruotare su noi stessi come una trottola o come un saraceno colpito dalla lancia del cavaliere.
Le rotazioni nel rovescio a due mani.

Continuare a ruotare porta con sé dei problemi e uno di questi è quello di perdere precisione all’impatto poiché il braccio viene trascinato eccessivamente nella rotazione. Inoltre non vi sarebbe peso del corpo sull’impatto in quanto noi staremo andando in una direzione diversa da quella in cui vogliamo mandare la pallina e tutti sappiamo quanto sia fondamentale riuscire a utilizzare il peso del nostro corpo nel momento in cui colpiamo.

Quando dobbiamo fermarci? È una domanda a cui dobbiamo dare una risposta. L’intenzione di fermare la rotazione deve avvenire nel momento in cui colpiamo, quindi all’impatto o poco prima non dopo perché in questo caso i vantaggi sarebbero vanificati. Un riferimento visivo lo abbiamo quando le nostre spalle si affacciano alla rete e con loro le anche non deve esserci una rotazione eccessiva verso i lati del campo. Ci possono essere casi di extra rotazione (in caso di swing molto veloci ed energici) ma, affinché il colpo non venga pregiudicato, è sostanziale che questa si verifichi quando la pallina ha già lasciato il piatto corde. È questo il caso di Roger Federer nella foto. Si può notare che Roger continua a ruotare ma la pallina è già uscita da suo piatto corde, si tratta di un rilascio muscolare di tutto il corpo.

Possiamo avere anche una sensazione cinestetica che ci consente di capire quando dobbiamo terminare la rotazione. Questa sensazione è più evidente con una posizione “closed stance” o “semi open” perché sentiamo proprio che oltre un certo limite le nostre anche non possono andare. Sentiamo tirare, o bloccare l’anca dalla parte del braccio non dominante, sia nel dritto che nel rovescio a due mani. Questo è il momento in cui dobbiamo iniziare a fermarci, anche con le spalle, e lasciare che il braccio vada all’impatto nel punto più avanzato possibile.

In una posizione “open stance” questa sensazione è minore e comunque diviene sensibile in uno stadio più avanzato della rotazione. Con i dovuti accorgimenti, nonché aggiustamenti credo possa essere utilizzata in tutte le posizioni con cui si può colpire sia di diritto che di rovescio a due mani. Possiamo parlare in questo caso di sensazione di blocco dell’anca. Altre sensazioni che ci forniscono indicazioni in merito possono essere quelle visive e posturali delle spalle, ovvero quando abbiamo una visione piena del campo e l’impressione di esserci “affacciati davanti alla rete”.

Il rovescio ad una mano è un caso diverso in quanto il braccio dominante non trova l’ingombro del corpo ed è quindi già libero di potersi estendere in avanti. Valuteremo questo ed altri aspetti in un altro momento.

Combinare le variabili: teoria e cinestesia dello swing nel tennis


Al fine di essere sicuri di un nostro progetto e del suo funzionamento la migliore opzione è quella di fare riferimento a principi scientifici consolidati. Nel mondo del tennis non di rado assistiamo a una varietà di metodi d’insegnamento che rimandano a scuole particolari. Sembra mancare però una visione uniforme e chiara degli aspetti essenziali che vanno a comporre i colpi del tennis che rappresenti la base da cui poi diramare varie interpretazioni particolari. Tale visione uniforme per essere codificata non può che partire da evidenze scientifiche, in caso contrario si rischia di fare confusione e di non riuscire ad integrare, all’interno di un unico modello, le varie peculiarità delle singole scuole, o singoli suggerimenti. Si tratta di una necessità perché, come abbiamo visto, i dubbi del giocatore e dell’allenatore non devono ricadere sulla correttezza del modello che cerca di applicare ma solo sulla comunicazione e sull’esecuzione, infatti mettere in dubbio il modello richiederebbe un lavoro di crescita notevolmente più lungo. Al fine di raggiungere questo obiettivo non c’è miglior modo di quello di fare riferimento a indicazioni di carattere scientifico le quali concorreranno a chiarire i motivi per cui un gesto tecnico sia più efficiente di un altro.

Una traccia razionale ed oggettiva formerà un reticolo all’interno del quale ogni aspetto tecnico troverà la sua valenza relativa. In questo modo si eviterà di fare confusione attribuendo maggiore o minore importanza ad un aspetto invece che a un altro. Ritengo che sia il modo migliore di procedere per integrare la varietà culturale che esiste nell’insegnamento del gioco del tennis.

C’è chi dà più importanza all’aspetto mentale, ma abbiamo visto che abbiamo necessità di definire in modo più chiaro che cosa si intenda con questo aggettivo. Alcuni pongono la propria attenzione sul gioco di gambe, su quella che viene chiamata “spinta di gambe”. Anche in questo caso siamo davanti alla necessità di capire l’importanza e il ruolo di questo elemento. La velocità del braccio è un altro aspetto. Ma quanto è importante? Ha un valore assoluto? Può essere compensata con altri accorgimenti tecnici? Colpire la palla il più possibile davanti è un’altra abilità valida. Ma come possiamo riuscirci? Ci sono accorgimenti tecnici che ci vincolano biomeccanicamente ad un impatto più avanzato? Che margine di tolleranza abbiamo all’impatto? Queste sono tutte domande a cui è possibile dare una risposta il più possibile esaustiva se prendiamo in considerazione la natura fisica di questo sport.

Ci sono aspetti fondamentali dei quali dobbiamo capire l’interazione nel momento in cui colpiamo una pallina. Inoltre questi aspetti possono variare il loro modo di interagire a seconda di come portiamo il nostro colpo.

L’energia cinetica è sicuramente un aspetto da non trascurare, ma in uno sport come il tennis non è da sola, perché questo è uno sport di collisioni quindi il momento d’inerzia ha anche esso la sua importanza. C’è poi il momento meccanico o torque. Dopotutto dobbiamo applicare una forza per far ruotare un oggetto quando questa non è esercitata sul suo centro di massa. Abbiamo visto che per svolgere quest’operazione possiamo sfruttare l’energia gravitazionale potenziale. Infine è opportuno prendere in considerazione gli studi che riguardano il doppio moto pendolare, i quali ci suggeriranno diversi modi di far interagire energia cinetica e momento d’inerzia.

Il tennis non è uno sport di lancio, dove l’oggetto da lanciare è nella nostra mano, in questo caso l’energia cinetica avrebbe un valore pressoché assoluto. Con una collisione invece il momento d’inerzia trova il suo spazio e considerato che la sua formula ci dice che esso è dato dalla sommatoria di tutti i punti di massa data per la loro distanza dall’asse di rotazione al quadrato.
Non solo la quantità di massa all’impatto assume valore ma il suo valore è strettamente correlato alla posizione. Se è più vicina all’asse di rotazione avrà un’influenza minore, se invece è più lontana sfrutterà il quadrato della propria distanza dall’asse e quindi avrà una valenza maggiore nel momento dell’impatto. Rappresenterà però uno svantaggio nel momento in cui decidiamo di accelerare la racchetta, anche se abbiamo già visto come aggirare in parte il problema.

Il nostro corpo ha degli snodi: il polso, il gomito, la spalla, la stessa possibilità di pronazione o supinazione dell’avambraccio rappresenta un asse di rotazione. Abbiamo quindi la possibilità di scegliere con quale asse di rotazione portare il nostro colpo. La conseguenza principale è che a seconda dell’asse di rotazione possiamo modificare il momento d’inerzia: sia in fase di accelerazione che in fase d’impatto. È quindi essenziale avere presenti gli aspetti scientifici che ho elencato perché ci aprono la porta verso diversi modi di colpire e di preparare il colpo il quali ci trasmetteranno sensazioni cinestetiche differenti, perché variano grandezze e valori all’impatto.

Avere chiaro in mente il motivo da cui dipendono le nostre sensazioni cinestetiche di gioco ritengo che faciliti l’apprendimento, in quanto permette di fare considerazioni oggettive sui vantaggi e gli svantaggi di determinate soluzioni tecniche avendo la conferma anche in riferimento alle proprie sensazioni di gioco e non solo su base teorica. Le sensazioni cinestetiche forniscono quindi conferme sulla correttezza razionale dei principi scientifici su cui si basa il modello. Permettono quindi di scegliere con più consapevolezza le modalità con cui intendiamo colpire.

Infatti anche solo questi cinque aspetti (energia cinetica, momento d’inerzia, doppio moto pendolare, torque, forza gravitazionale) combinati tra di loro, con valori differenti, di velocità, peso, distanza dall’asse di rotazione forniscono un numero elevatissimo di combinazioni per colpire la palla e sono anche in relazione anche con le caratteristiche fisiche individuali (lunghezza e pesantezza del braccio) nonché con la propria tecnica. Viviamo sulla Terra dopotutto…

Il nostro intento dovrà essere pertanto quello di scoprire se esista e quale sia dal punto di vista fisico la combinazione che rappresenta il gesto migliore, più efficace ed efficiente, e di allenarlo con costanza e una maggiore consapevolezza sia teorica che cinestetica.

Questo è lo scopo principale di questo blog.

Stay tuned.

Oscillazioni

Jannik Sinner il predestinato di Darwin e Wallace

Il modo di ragionare è semplice lo devo a Charles Darwin e Wallace. Quando il naturalista inglese si imbatté nell'orchidea cometa si chi...