La velocità non è tutto nel tennis: massa e raggio nel momento angolare

Velocità angolare e tangenziale
Abbiamo esaminato alcuni aspetti di quelli che sono i due modi fondamentali di colpire la pallina: 1. cercando di mantenere un pendolo singolo; 2. attivando un doppio moto pendolare.

Per cercare di elencare i vantaggi e gli svantaggi dell’uno e dell’altro modo di colpire è opportuno inserire nel ragionamento il concetto di momento angolare. Abbiamo visto che un oggetto che si muove con un moto rettilineo ha una quantità di moto pari alla sua massa per la sua velocità. Se invece il moto dell’oggetto è curvo, ovvero si muove su una traiettoria circolare con un raggio ideale r, la sua “quantità di moto” è chiamata momento angolare e per ottenerla bisogna sostituire la massa con il momento d’inerzia e la velocità con la velocità angolare, la quale è definita come il rapporto tra l’angolo percorso o descritto e il tempo impiegato a descriverlo. Essendo la velocità lineare data dallo spazio percorso diviso il tempo impiegato quella angolare è una sua logica conseguenza.
Da questa misura possiamo ricavare la velocità tangenziale la quale è diversa dalla velocità angolare perchè dipende anche dalla lunghezza del raggio, ovvero dalla distanza, nel nostro caso, della racchetta dal polo, cioè dall’asse di rotazione da noi scelto quando colpiamo.

Velocità angolare
Seguendo i vari passaggi che potete trovare on line qui e qui e su qualunque libro delle scuole superiori la velocità tangenziale è data dal prodotto del raggio, nella sua lunghezza, cioè dalla lunghezza del raggio, per la velocità angolare.

E’ quindi una conseguenza che per calcolare il momento angolare di un corpo, per semplicità puntiforme, è opportuno sapere la velocità angolare a cui fare riferimento per avere la velocità tangenziale in relazione al raggio, perché il movimento potrebbe svilupparsi su raggi diversi a seconda di come muoviamo il nostro braccio racchetta. Servono entrambe le misure.

Due oggetti possono avere stesse velocità angolari ma diverse velocità tangenziali è sufficiente allungare il raggio mantenendo la stessa velocità angolare. Forse questo richiama alla mente i problemi di Rafael Nadal che in certe circostanze di gioco quando tende a chiudere troppo presto i propri colpi di fatto riducendo il raggio d’azione e quindi la velocità tangenziale.
Formula della velocita tangenziale

Il momento angolare va quindi sempre considerato in relazione a un polo, ovvero il punto intorno al quale l’oggetto ruota ad una certa distanza che rappresenta il raggio. Abbiamo già visto che a tennis, quando colpiamo possiamo scegliere poli diversi su cui far ruotare la nostra racchetta: polso, gomito, spalla, asse centrale del corpo.

In questo approccio logico entra anche in gioco il momento d’inerzia e con lui la distribuzione delle masse ed anche sotto questo aspetto abbiamo sempre a che fare con l’asse di rotazione, ovvero il raggio (dal polo alla fine dell’oggetto) che nel calcolo dell’inerzia va preso al quadrato. Ad un'analisi anche superficiale il raggio e quindi la distanza dal punto su cui ruota una racchetta è molto importante. Nel momento di inerzia la distanza è al quadrato e nel calcolo momento angolare il quadrato si elide nelle formule ma è sempre presente, e in ultima analisi massa e raggio non hanno una valenza inferiore alla velocità, anzi se presi insieme anche maggiore.

Momento angolare
Il momento angolare è quindi dato dal prodotto del raggio per la massa e per la velocità. Ora osservando bene la situazione quando qualcuno ci chiede di imprimere maggiore velocità come spesso accade sui campi da tennis dovremmo chiederci se chi ci invita a fare questo ha chiaro in mente come si organizzano queste realtà scientifiche. Intanto su quale asse di rotazione dovremmo cercare maggiore velocità? E non ultimo con quale massa dovremmo cercarla questa maggiore velocità? Perchè accelerare su un polo molto vicino alla racchetta farebbe diminuire la lunghezza del raggio. Aumenteremo una variabile ma ne diminuirebbe un’altra, anzi due perché molta massa in gioco non sarebbe più calcolabile dal momento che verrebbe a trovarsi prima del polo di rotazione. Ammesso e non concesso che riuscissimo ad accelerare mantenendo la stessa precisione all’impatto i vantaggi di una maggiore velocità sarebbero vanificati da una riduzione della massa e del raggio. Dopo tutto il tennis è uno sport di collisioni quello che conta è il momentum che abbiamo all’impatto non l’energia cinetica di un punto ideale del sistema.

Ora il momento di inerzia ci dice che una cosa lunga e pesante è difficile da accelerare perché tende a mantenere il proprio stato qualunque esso sia, ma è quindi altrettanto vero che una volta accelerata tenderà a mantenere il proprio stato di moto.

Lo svantaggio che abbiamo quando colpiamo con l’anticipo del doppio moto pendolare è che aumentiamo, è vero, la velocità della racchetta ma con un raggio più corto e una massa in gioco minore, perciò questo vantaggio viene vanificato e potrebbe essere compensato solo da un'accelerazione di grandi dimensioni ma che finisce per andare a discapito della precisione.

Colpendo a pendolo singolo anche se riducessimo la variabile velocità, perchè è più difficile accelerare una massa maggiore su un raggio più lungo, le variabili di massa e di raggio crescerebbero nella nostra equazione, riuscendo a compensare e magari superare la riduzione della variabile velocità nella collisione. Magari, poi, andando più piano si riesce ad essere anche più precisi.

L’ideale sarebbe quindi cercare di incrementare la velocità della racchetta utilizzando il polo più lontano da essa (almeno al momento dell’impatto) in modo da incrementare anche i valori del raggio e della massa. I vantaggi del singolo pendolo si limitano sostanzialmente a un passaggio di energia da un pendolo all’altro ma le condizioni del totale trasferimento sono condizionate da aspetti di proporzionalità tra i pendoli e dal peso della pallina (Rod Cross), inoltre vengono esclusi gli incrementi delle variabili di raggio e peso che entrerebbero in gioco qualora qualora la distanza tra la racchetta e l’asse di rotazione fosse più lunga.

Abbiamo visto in precedenza come la forza di gravità ci consenta all’inizio dello swing di accelerare la racchetta per poi allungare l’intero sistema braccio racchetta verso l’impatto grazie alla rotazione delle spalle, che agiscono come una leva vantaggiosa per la lunghezza del braccio potenza, questo aiuta a vincere più facilmente l’inerzia del sistema racchetta braccio molto esteso verso l’esterno del proprio corpo nella fase finale.

In conclusione anche prendendo in analisi questi ulteriori aspetti scientifici basilari non si evincono, a mio giudizio, sostanziali vantaggi nel cercare di colpire o nell’insegnare a colpire con doppio moto pendolare. Ovvero chiudendo il movimento su assi di rotazione molto vicini alla racchetta come può essere l’uso della rotazione dell’avambraccio prima dell'impatto (o del polso, o del gomito).

L'accelerazione dei segmenti del proprio corpo dovrà partire dal più corto per estendersi verso il più lungo in successione (racchetta-polso-avambraccio-gomito-spalle) fino all’impatto in modo da acquisire la maggiore velocità per la maggiore massa disponibile associata al raggio più lungo. In una estensione progressiva in direzione dell’impatto di tutto il nostro braccio fino a comprendere le spalle e il peso del corpo.

Tutti i problemi di Rafael Nadal quando gioca con Novak Djokovic (Australian Open 2019)

La finale di Melbourne del 2019 in cui Novak Djokovic ha vinto con facilità 63, 62, 63 contro lo spagnolo Rafael Nadal in tre sets con un punteggio che non ha manifestato particolari difficoltà per il serbo fornisce alcuni spunti tecnici che ci permettono di analizzare i colpi dei due giocatori in relazione ai principali moti dei fondamentali del tennis. Visto che i due giocatori utilizzano solo dritto e rovescio e molto limitatamente gli altri colpi come tutti i giocatori moderni del resto. L'analisi si riferirà ai colpi fondamentali da fondo campo.

Le grandi difficoltà che riscontra Nadal sono naturalmente da considerarsi strettamente legate alle caratteristiche tecniche e fisiche del serbo, ai campi molto veloci e alla natura esecutiva dei suoi colpi.
Mobilità, innesco del secondo pendolo, eccessive rotazioni e colpi meno penetranti sono i dazi che Rafa paga sia sul dritto che sul rovescio quando gioca contro il Djokovic, il quale dall'altro lato con la sua altezza e il rovescio bimane non soffre il rimbalzo e le rotazioni del dritto di Nadal specialmente sui campi veloci.

Quello che accade semplicemente quando Rafa gioca contro Nole nelle condizioni della finale di Melbourne è che non riesce a mettere tutta la massa del proprio braccio all'interno del colpo. Chiude leggermente troppo presto, scappa con l'avambraccio in altezza con la conseguenza che la palla è poco penetrante e anche se rimane sufficientemente carica di rotazioni queste non sono in grado di mettere in difficoltà il serbo. Le condizioni di gioco sulla terra dovute alla maggiore restituzione del rimbalzo rendono questa condizione di gioco dello spagnolo meno problematica perché comunque il rimbalzo alto rende meno attaccabili i suoi colpi da parte del serbo e dall'altro lato Nadal ha più tempo per preparare le proprie esecuzioni limitando il numero dei colpi meno efficaci.

Sul veloce e contro Djokovic che gioca nel flusso (flow) la situazione può assumere connotati drammatici e sopratutto divenire irrecuperabile.

Avendo meno tempo nella preparazione dei colpi e con un fisico di massiccia struttura che li rende più macchinosi nei movimenti Rafael rimane impigliato nella tela di Djokovic, il quale prende sempre più campo e riduce i tempi di preparazione allo spagnolo.
Dall'altro lato del campo Nadal, in difficoltà ad organizzare i propri colpi come è abituato, non riesce a trasferire bene il peso del corpo e a usare un asse di rotazione che includa l'intero braccio nella dinamica del colpo. 

L'impressione è che per uscire dalla pressione cerchi di aumentare la velocità del braccio, ma in condizioni di preparazione precaria l'innesco di un doppio moto pendolare, che ad alte velocità è tendenzialmente caotico, gli fa aumentare i margini di errore. Questo accade anche perché con un lieve ritardo, sopratutto a questi livelli, se non si riesce ruotare in tempo le spalle verso la rete il braccio (sia sul dritto che nel rovescio bimane) è bloccato dal corpo nel suo avanzamento e viene naturale chiudere il colpo in anticipo. L'insicurezza  a questo punto cresce e Nadal si trova stretto nella morsa tennistica del serbo.
In queste condizioni di "fuga" del braccio verso l'alto e l'eccessiva rotazione degli avambracci per una chiusura anticipata la palla dello spagnolo resta comunque debole, corta, e con un margine di errore superiore. Non molto, ma quanto basta e nel tennis basta veramente poco.

Novak non può che prendere sicurezza e spingere i propri colpi sempre più linearmente in modo che siano penetranti e cerca gli angoli in modo da non permettere a Rafa di uscire dalle condizioni di gioco in cui si trova.

Dove sia l'inizio di queste problematiche non è facile da dire ci sono probabilmente più concause. La prima di tutte è da ricercare nelle superfici veloci, un'altra nell'età di Nadal che probabilmente non gli consente più di avere la rapidità di una volta, una ulteriore risiede nella connaturazione dei suoi colpi per organizzare i quali ha bisogno di un po' più di tempo.

Come se ne può uscire? Ammesso che si possa se ne esce comunque male e con molte difficoltà. Dal punto di vista tecnico lo spagnolo dovrebbe riuscire a modificare leggermente l'esecuzione dei suoi colpi per renderli più efficaci sul veloce. Cercare soluzioni più lineari, penetranti e magari meno cariche di rotazioni. Evitare di uscire dal colpo verso l'alto e fare in modo che l'avanzamento dell'intero braccio svolga una funzione di trascinamento in avanti dell'intero peso del corpo. Ma agire su meccaniche di esecuzione consolidate in un momento avanzato della carriera non è semplice né scontato nella sua riuscita.


La solidità di un modello scientifico nel deserto culturale e nella regressione tecnica del tennis

Uno dei primi articoli del blog era incentrato sulla correttezza del modello di riferimento tecnico da seguire. È un aspetto su cui ritornare con più attenzione perché rappresenta la solidità principale su cui costruire il proprio gioco e migliorare l’esecuzione di tutti i nostri colpi. Il modello di partenza deve essere un modello inattaccabile dal punto di vista logico e razionale ed il miglior modo per avere un modello di questo tipo è quello di basarlo sulle certezze scientifiche consolidate.

In un giorno storto, in cui le cose vanno male, quando l’esecuzione non è ottimale la certezza del modello sarà la salvezza, una scialuppa di salvataggio per il nostro tennis e tutti i nostri colpi e anche, in alcuni casi, per la partita. Riaggrapparsi a un modello certo diviene il modo più sicuro per ritrovare il proprio gioco. Rappresenta l’intelaiatura da cui ripartire per ritrovare la sicurezza delle proprie esecuzioni le quali sono le uniche a dover essere riviste sulla base del modello.

Fin qui abbiamo valutato come utilizzare la forza di gravità, le leve vantaggiose e abbiamo fatto dei cenni al doppio moto pendolare, da utilizzare “cum grano salis” o meglio da escludere totalmente dai nostri colpi se ci riusciamo. Inseriremo alcuni aspetti riguardanti il momento d’inerzia che completeranno l’insieme dei punti di riferimento che faranno da guida ai principali colpi del tennis. Avremo quindi un modello di riferimento solidissimo che si basa su certezze scientifiche consolidate, se quindi durante le attività di gioco si dovesse incorrere in errori avremmo la sicurezza che dovremmo intervenire, come già scritto, sull’esecuzione e non sul modello. Questo tipo di intervento impedirà il dilagare delle crisi di gioco oltre limiti accettabili e non dovuti ad aspetti specifici di preparazione atletica. Non di rado anche a livello professionistico alcuni giocatori tracimano, durante una partita o un torneo, in una completa involuzione tecnica. Una delle concause risiede nel non avere nessuna certezza dei propri colpi che nasca oltre la sensazione derivata dalla ripetizione dei colpi. Il sostegno razionale, delle solide fondamenta logiche e scientifiche permettono di chiarire subito le criticità delle esecuzioni e di poter intervenire con celerità ed in modo oculato.

Purtroppo il panorama dell’insegnamento del tennis non è molto confortante. È un po’ tutto in mano all’impressione epidermica, all’opinione, a ipotesi non pienamente suffragate a livello scientifico. Le spiegazioni sono spesso prive di approfondimento razionale e si limitano ad affermazioni, che oltre ad essere gratuite, sono anche ambigue dal punto di vista comunicativo. Sei sente parlare di “mano”, “pronazione”, “uso del polso”, “biomeccanica” ma sono in pochi a spiegare cose intendono nello specifico quando usano questa terminologia. La biomeccanica non può andare contro le leggi della fisica. Perché la pronazione sul dritto porterebbe dei vantaggi se eseguita prima dell’impatto se inserisce un asse di rotazione in prossimità della mano riducendo di fatto la massa all’impatto? Cos’è l’uso del polso di preciso? Una torsione (torque) anche questa prima dell’impatto? Chi usa queste affermazioni ha in mente altri movimenti? Studi nel golf hanno evidenziato che un’agevolazione dell’accelerazione con un torque attivo del polso (a seconda del punto di attivazione) porta sempre un vantaggio minimo in aumento della velocità ma c’è il lato negativo nel tennis: perdita di massa e perdita di precisione se non si riesce a ripristinare il moto a un pendolo prima dell’impatto. Per di più il tennis è uno sport di movimento in cui lo swing risente della dinamica degli spostamenti. Perché dovremmo inserire una variabile in più qualche frazione di secondo prima dell’impatto?
Perché partire per dare un colpo con tutto il braccio e poi ruotare la mano all’ultimo? Non rimane solo la mano attiva nel colpo con propria velocità e peso? Non credo ci siano motivi per dubitarne. E’ fisica delle scuole medie, al massimo del liceo, alcuni aspetti si studiano addirittura alle elementari, per esempio la differenza tra energia cinetica e quella potenziale.

È sufficiente osservare i movimenti dei giocatori professionisti, oggi con le immagini al rallentatore si nota tutto, ma non bisogna osservare la pallina, questa non interessa, gli occhi devono rimanere fermi sul giocatore, sui suoi movimenti. Il mondo del tennis sembra essere rimasto al tempo del Rinascimento ogni artista con la sua bottega in competizione con il rivale, non c’era una scuola, uno standard un modello chiaro e solido. Se l’aspetto della vivacità culturale potrebbe potrebbe sembrare una lato positivo il risvolto della medaglia è che si tratta di opinioni contingenti che nella maggior parte dei casi non hanno valenze scientifiche. Sono errate, confusionarie, prive di verità. La cultura, le culture non hanno un valore positivo o di verità in sé. La storia dell’uomo è colma di credenze culturali sbagliate non di rado dannose o pericolose. Esistono ancora oggi. Qualcuno ancora pensa che i vaccini siano nocivi. In alcune aree del mondo ci si rifiuta ancora di vaccinare i propri figli per ragioni culturali o religiose. Sono tutte posizioni errate, sbagliate, prive di fondamento scientifico.
Oggi viviamo nel relativismo culturale indistinto. C’è questo, c’è quello e quest’altro ancora. Va tutto bene ed è tutto giusto. Ma la realtà è diversa la maggior parte delle culture sono opinioni, fesserie, miti, tramandati senza nessun vaglio razionale e scientifico. Sciocchezze. Il relativismo culturale privo di sostegno scientifico è un deserto culturale. Un nulla composto di tante affermazioni insensate che possono affermarsi solo grazie all’ignoranza e in ultima istanza per mezzo della violenza.

Il mondo del tennis non è da meno. La testa, le gambe, il polso, la musica, il ritmo, la mano, l’allenatore, il rapporto, la torsione, l’alimentazione, la biomeccanica, la video analisi. La maggior parte sono parole al vento. Non pagate il biglietto, non ascoltate. Non fermatevi, passate oltre.
Solo il metodo scientifico è una guida sicura. Le affermazioni vengono controllate vagliate e il progresso avviene per mezzo del confronto, costruendo, con il tempo, gradini di certezze consolidate. In asintoto verso la verità.

La forza centrifuga e quella centripeta per un modello scientifico dello swing nel tennis

Lo swing a un pendolo di Rafael Nadal
Al fine di rendere il più possibile completa l'analisi delle forze in gioco nel tennis non dobbiamo trascurare il ruolo svolto dalla forza centrifuga. Questa è una forza apparente in quanto si manifesta solo per coloro che sono all'interno di un sistema in moto rotazionale, coloro che sono all'esterno del sistema non percepiscono questa forza. L'osservatore che guarda dall'esterno un atleta che lancia il martello vede solamente le forze centripete ovvero l'atleta che vincola l'oggetto in un moto rotazionale tenendolo con le braccia, ma il lanciatore, che è all'interno del sistema, sente la forza centrifuga che tende a fare uscire l'oggetto in un moto lineare sui punti tangenti della circonferenza.

La forza centrifuga è una forza che si manifesta nei moti rotazionali e nel tennis i moti rotazionali non mancano. Tutte le forze in gioco tenterebbero a dare un moto lineare alla racchetta, ma essendo questa impugnata è vincolata al braccio che rende rotazionale il suo moto. La forza di gravità la farebbe cadere in terra come la mela di Newton, ma il moto lineare diviene rotazionale perché l'oggetto è attaccato al braccio il quale può ruotare su un asse a nostra scelta, avambraccio, gomito o spalla.

Lo stesso avviene quando si inserisce la rotazione del busto e delle spalle in fase di esecuzione finale del colpo, proprio con alcune similitudini con il lanciatore del martello. Pertanto essendo il giocatore di tennis all'interno del sistema in moto rotazionale percepisce le forze centrifughe che farebbero partire la racchetta per la tangente della circonferenza di rotazione. È ovvio che non possiamo lasciare andare la racchetta come se fossimo su un campo di atletica, in più qualora riuscissimo comunque a colpire la pallina il punto non sarebbe valido per regolamento, però la forza centrifuga può comunque tornare utile per diversi propositi nel gioco tennis.

Per quattro obiettivi principali la forza centrifuga viene in aiuto:
1. La ricerca di uno swing con arco più ampio o più lineare possibile.
2. Agire in modo non muscolare, in fluidità.
3. Ricercare una migliore armonia del movimento in tutte le sue fasi.
4. Evitare di chiudere il movimento su assi di rotazione più vicini alla racchetta ed evitare l'innesco anticipato di doppi moti pendolari.

Le forze in gioco nello swing.
Dall'alto: centrifuga in giallo, centripeta in verde scuro
Una volta innescati i moti della racchetta il giocatore, in quanto parte del sistema rotante, percepirà la forza centrifuga e non quella centripeta, la sensazione sarà quella di una racchetta che tenderà a uscire verso l'esterno.

Tale forza non potrà essere assecondata totalmente come nei lanci dell'atletica, ma il tennista dovrà cercare di agevolarla. Dovrà sentire la tensione sul braccio ma senza cadere nella tentazione di trattenere l'attrezzo muscolarmente, senza cercare di "tirarlo" a sé. Questa azione infatti avrebbe come effetto quello di frammentare o bloccare il moto rotazionale innescato, chiuderlo su assi più corti riducendo il raggio della circonferenza da percorrere e rendendo meno efficace il colpo. È un'azione controproducente: diminuisce i margini di tolleranza all'impatto, ha l'effetto di disinnescare il processo di accelerazione in fluidità.

Sentire, invece, la forza centrifuga permette di allungare il proprio braccio verso l'esterno in un movimento ampio e fluido, in cui si passa gradualmente da circonferenze più piccole con raggi più corti a circonferenze più ampie con raggi che si allungano in progressione dello swing.

Per sviluppare la corretta progressione esecutiva che passa dalla circonferenza più piccola racchetta polso (per mezzo della supinazione nel dritto e nel rovescio a due mani), a quella racchetta avambraccio con centro sul gomito, a quella racchetta spalla fino a quella più ampia di tutte innescata dalla rotazione delle spalle è opportuno agevolare la forza centrifuga che spinge verso l'esterno.

È come se si dovesse permettere alla forze centrifughe che si manifestano in successione di lanciare il segmento successivo del nostro corpo fino a trascinare tutto il nostro corpo all'impatto.
È una forza che va sfruttata fino alla fase finale del trasferimento del peso sulla pallina.
Nell'impossibilità di lanciare la racchetta l'accumulo di questa forza sarà un elemento in più che aiuta nel trasferimento del peso in avanti, come se fossimo trascinati.

La forma finale di una racchetta da tennis
Soprattutto nella fase terminale del colpo, quella di accompagnamento (il follow through) sviluppare la sensibilità per agevolare le forze centrifughe in gioco permette un allungamento del finale con una riduzione dei margini di errore, una maggiore solidità del colpo e un ritardo del rilascio della testa della racchetta, il quale avrebbe come effetto quello chiudere il colpo su una circonferenza più stretta, quando avviene con la pronazione nel dritto e nel rovescio a due mani e con la supinazione nel rovescio a una mano.

Se inneschiamo dei movimenti rotazionali la risultante delle forze in gioco, che in questo caso è la forza centrifuga, va sfruttata e non annullata, altrimenti non avrebbe più senso il lavoro svolto in precedenza. In questo compito la forma della racchetta aiuta e non poco. La conformazione del tappo, infatti, allarga il profilo ed il volume finale dell'attrezzo consentendo una presa ferma ed evitando che la racchetta scivoli per la tangente quando è soggetta alla forza centrifuga. Al tempo stesso consente il controllo senza dover stringere il manico in modo eccessivo condizione che irrigidirebbe la muscolatura del braccio di fatto influendo in modo negativo sulle rotazioni sia di braccio che di corpo tendendo a bloccarle.

Anche in questo caso l'utilizzo della forza centrifuga è riscontrabile in tutti i colpi fondamentali: dritto, rovescio sia a una mano che a due mani, e nel servizio.

Occorre fare una precisazione per quello che riguarda il servizio. In questo colpo infatti la penultima rotazione innescata è quella della pronazione dell'avambraccio, la quale è successiva al mulinello ed è in sincronia con la rotazione delle spalle. La pronazione ha lo scopo di fornire un'ulteriore accelerazione e portare l'interezza del braccio all'impatto. Agevolare la forza centrifuga in questo caso avrà come conseguenza diretta quella di evitare di "spezzare" il polso prima o durante l'impatto. Spezzare il polso con lo "snap" chiuderebbe la circonferenza sull'asse di rotazione polso, inficiando la complessa preparazione avvenuta in precedenza con la conseguenza diretta della dispersione di molte energie.

Non di rado sui campi da tennis si sentono suggerimenti che invitano a spezzare il polso, se preso alla lettera, e non come indicazione verbale errata che vuole indicare la pronazione, questa indicazione induce a commettere un errore. Anche in questo caso è opportuno agevolare la forza centrifuga della pronazione e della rotazione del busto per arrivare all'impatto con la circonferenza più ampia possibile e coinvolgere nella collisione tutta la massa disponibile.

Verso lo swing perfetto nel tennis: torque, leve svantaggiose e la coppia di spalle ed anche

Momento meccanico
Quando prendiamo una racchetta in mano e proviamo a girarla se ci capita di sentire delle differenze rispetto ad una di un altro modello questa sensazione è dovuta alla forze necessaria per “applicare” un diverso momento meccanico, torcente o torque, che dobbiamo esercitare per ruotare la racchetta. Possiamo ruotare all’altezza del polso solo la racchetta, considerare il sistema avambraccio-racchetta o l’intero sistema racchetta-braccio ma per effettuare una rotazione, intorno ad un punto chiamato polo, dobbiamo esercitare una forza in modo che l’oggetto o l’insieme di più oggetti ruotino. Ora il momento torcente è dato dalla forza moltiplicata per la distanza dal polo, tale distanza è chiamata braccio.

Pertanto a parità di forza il momento torcente sarà maggiore se il braccio è più lungo, ovvero se si desidera avere un momento torcente maggiore si può allungare il braccio invece che aumentare la forza. Il braccio della forza è la distanza tra il polo e la retta della forza. Tali principi sono alla base delle leve. Questo è il motivo per cui per svitare un bullone invece di aumentare la forza è possibile aumentare la lunghezza della chiave inglese e fare meno sforzo quando sostituiamo una ruota con una gomma bucata.

Ora quello che accade nel tennis nel momento in cui muoviamo la racchetta è che la forza agisce e si applica sempre in prossimità del polo, ovvero nel punto di riferimento in cui si ha la rotazione. Tornando all’esempio della chiave inglese è come se cercassimo di ruotare chiave e bullone facendo forza sulla parte della chiave che agganciata al bullone. Questo accade in tutte le tipologie di rotazioni del tennis: se ruotiamo all’altezza del polso la forza si esercita in quel punto, se “proniamo” o “supinamo” l’avambraccio l’asse di rotazione si colloca a metà mano (5 cm dalla fine del manico) anche in questo caso molto vicino a dove si applica la forza, se pieghiamo il gomito l’asse di rotazione è il gomito stesso, anche in questo caso il braccio potenza è molto ridotto se non addirittura coincidente al polo. La situazione non cambia se si considera il movimento all’altezza della spalla: muscoli di spalla e braccio innescano una rotazione con polo alla spalla anche in questo caso il braccio potenza della leva è minimo. Si tratta quindi a ben guardare di leve svantaggiose perché non sfruttano la lunghezza del braccio potenza in quanto la forza è sempre applicata in prossimità del polo. Per evitare fraintendimenti quando si parla di braccio potenza della forza, in questo caso, non ci riferiamo alla lunghezza del nostro braccio ma alla distanza (nella leva) tra il polo (il punto di rotazione) e il punto di applicazione della forza, quando questi due punti coincidono la leva è svantaggiosa perché il braccio resistenza è più lungo e di fatto la rotazione avviene solo per mezzo della forza applicata.

Il braccio potenza è ridottissimo, si ha solo braccio resistenza,
poichè la forza è sempre esecitata in prossimità del polo.
Nei colpi del tennis la lunghezza dei nostri arti, con l’applicazione della forza sul polo, rappresenta la lunghezza del braccio resistenza. Ora i nostri muscoli per muovere un oggetto che impugniamo agiscono sulle nostre articolazioni le quali sono poste prima, poco dopo, o in prossimità dei muscoli a seconda di quelli che utilizziamo biomeccanicamente ma il braccio potenza rischia di essere molto corto rispetto al braccio resistenza. Si tratta di leve svantaggiose dove di fatto il braccio potenza non c’è perché la forza è esercitata direttamente sul fulcro. Di fatto lo swing di una racchetta da questo punto di vista è prettamente muscolare quindi non meravigliamoci se il tennis lo è sempre di più. Di fatto quando muoviamo la racchetta con moto rotazionale utilizziamo leve svantaggiose, a tale proposito si può vedere come anche su Wikipedia la leva braccio venga classificata come svantaggiosa (qui).

Ora siamo davanti a delle leve svantaggiose su tutti gli assi di rotazione e un moto teoricamente imprevedibile quando c’è un rilascio degli assi finali (avambraccio, polso, gomito) in un moto pendolare doppio. Se vogliamo complicarci la vita tennistica potremmo solo andare avanti a testa bassa “swingando” muscolarmente nel caos.

Ma forse abbiamo altre opzioni che possono semplificare il nostro compito. Intanto se siamo davanti a leve svantaggiose è meglio utilizzare i muscoli più forti che abbiamo e un movimento a livello di spalla richiama l’utilizzo di più muscoli e più forti, dorsale, gran dorsale, pettorale, trapezio deltoide, cuffia dei rotatori, in più possono entrare in gioco bicipite e tricipite, ma lasciamo questi aspetti ad analisi biomeccaniche e le loro sinergie muscolari agli esperti del settore. Quello che cerchiamo di capire qui è se esistono soluzioni per rendere meno faticoso il lavoro necessario per far ruotare la racchetta.

Abbiamo già visto come utilizzare l’energia gravitazionale potenziale nella parte posteriore dello swing e trasformarla in energia cinetica. In questa fase la forza di gravità agisce sul baricentro del sistema come momento torcente facendolo ruotare intorno a un asse che può essere scelto volontariamente e non escludo che se ne possano scegliere tre in successione: avambraccio, gomito spalla. In questo caso c’è un braccio potenza ed è dato dalla distanza tra il punto in cui si esercita la forza di gravità e l’asse di rotazione scelto. Il nostro pendolo quindi accelera senza fatica, il lavoro lo abbiamo già svolto sollevandolo.

C’è un momento però in cui il nostro pendolo (racchetta-braccio) deve iniziare a risalire, ed anche se arriverà all’altezza da cui è partito (attriti esclusi), inizierà a perdere velocità. In questa fase, se l’intento è quello di non limitarsi a un palleggio in scioltezza, si rende necessario cercare di mantenere la velocità acquisita o cercare di addirittura di aumentarla. In questa fase esiste però un rischio ed è quello di andare ad agire muscolarmente in modo eccessivo e perdere il vantaggio acquisito in fase iniziale.

Andare ad esercitare una forza torcente con una leva svantaggiosa, stringendo la racchetta, ed irrigidendo la muscolatura ed tutto il sistema racchetta-braccio, limiterebbe o addirittura potrebbe fermare la velocità del pendolo avvenuta in scioltezza.

Anche in questa fase però c’è una condizione, esterna al sistema, che può soccorrerci ed è anch’essa correlatala al torque. Il sistema braccio racchetta è infatti attaccato al nostro corpo sarà pertanto costretto a seguirne i movimenti. Proprio nel momento della risalita possiamo infatti andare a ruotare noi stessi verso la rete del campo. Questa torsione delle anche e delle spalle nasce da un’azione esercitata sulle estremità del nostro corpo innescando una rotazione su un polo che è identificabile sull’asse centrale del nostro corpo, il quale lo taglia idealmente in due parti: naso, spalle, passa per lo sterno e il bacino separandoli in due parti uguali. È pertanto una leva migliore in cui agiscono una coppia di forze: quella esercitata dalla spalla sinistra e quella messa in atto dalla spalla destra.
(Lasciamo ai biomeccanici valutare come si sviluppa il sincronismo dei movimenti tra anche e spalle. Prendiamo in esame solo la rotazione delle spalle per semplicità).

Spalla sinistra e destra innescano forze di rotazione sull’asse centrale del corpo. Il raggio di questo cerchio sarà dato dalla distanza tra il punto in cui agisce la forza sulla spalla e il centro dello sterno. Il corpo va visto come un disco che vigliamo far girare e su cui agiscono due forze, una coppia appunto, il braccio racchetta seguirà quindi tale movimento di rotazione. Se tale rotazione avvenisse da fermo sarebbe necessario vincere l’inerzia del sistema racchetta-braccio, ma in questo caso il movimento della racchetta è già avvenuto sarà quindi abbastanza semplice mantenerne la velocità o vincere l’inerzia relativa qualora volessimo accelerarla ulteriormente.

Il rischio tal punto di vista tecnico esecutivo, come già scritto, è quello di andare in trazione muscolare e perdere i vantaggi di queste realtà fisiche finendo per svolgere più volte un lavoro inefficiente. La fluidità del movimento che sfrutta tutte le circostanze utili verrebbe meno se subisse rallentamenti e ripartenze, frenate ed accelerazioni o addirittura brusche fermate.

In tutti i colpi fondamentali del tennis possiamo utilizzare questo tipo di soluzioni: servizio, dritto e rovescio. Ci possono essere alcune differenza specifiche tra un colpo l’altro, per esempio tra il rovescio e due mani e quello a una mano, oppure nel servizio, ma in linea generale queste indicazioni consentono uno swing fluido e armonico.

Prendiamo Roger Federer, un moto caotico, il follow through e accompagniamo il tutto

Roger Federer e il rilascio del doppio pendolo
Uno degli obiettivi principali nel tennis è quello di evitare gli errori gratuiti i quali possono mettere ogni avversario nella possibilità di vincere partite che dal punto di vista tecnico non sono alla loro portata. Molti anni fa i maestri suggerivano di accompagnare la pallina quando un allievo eseguiva il colpo. Questo suggerimento ha una sua utilità peculiare che è quella di riuscire ad allungare il più possibile il movimento del braccio. Le motivazioni intrinseche di questo comportamento vengono spesso trascurate ma un effetto è quello di evitare il più possibile l’utilizzo delle articolazioni terminali del braccio in modo da escludere, se vogliamo esprimerlo in modo fisico, l’innesco di doppi moti pendolari tra l’avambraccio e la racchetta.

Da un punto di vista strettamente tecnico ritengo che il vantaggio principale non sia da riscontrare in una maggiore potenza ma nell’ampliare, anche in modo significativo, le possibilità di un impatto corretto del piatto corde con la pallina. Quando i livelli di gioco aumentano questo accorgimento diviene ancora più fondamentale perché i due elementi pallina e racchetta che devono collidere hanno entrambi velocità che superano i 100 km/h a seconda del tipo di colpo e del giocatore che abbiamo davanti; pertanto diviene ancora più difficile trovare il tempo giusto per l’impatto.

In questa prospettiva è da valutare attentamente il vantaggio o lo svantaggio di una rotazione in prossimità del polso che può avvenire per pronazione o supinazione (nel caso del rovescio a una mano) dell’avambraccio, perché un arco più chiuso, meno ampio, come già accennato, riduce gli spazi di tolleranza all’impatto. Cercare di prolungare il movimento del singolo pendolo o, come veniva insegnato, di accompagnare il colpo permette di aumentare la tolleranza. Quello che oggi viene chiamato il follow through, che significa appunto accompagnare, andare fino in fondo, proseguire, fornisce delle indicazioni fondamentali che, all’atto pratico, dal punto di vista fisico ritengo abbiano come conseguenza quella di ritardare l’innesco di moti pendolari duplici o triplici.
Ovviamente oltre un certo limite il braccio umano non può proseguire quindi l’attivazione delle articolazioni è inevitabile, o quantomeno lo è l’attivazione macroscopica delle articolazioni, ma per scongiurare errori è importante che questo avvenga quando la palla è già stata colpita dal piatto corde e quando siamo nel tempo di dwell time, ovvero di permanenza della pallina all’interno del piatto corde. Infatti nel momento in cui la palla viene colpita dalle corde queste si flettono e poi ritornano in posizione. In questo momento la pallina per poche frazioni di secondo rimane a contatto con loro. Il dwell time, o tempo di permanenza, è molto breve (frazioni di secondo) e può variare a seconda della tipologia delle corde, della loro tensione, ed anche in relazione alla grandezza del piatto corde, che di fatto allunga la lunghezza delle singole corde.

Tolleranze di impatto in doppio e singolo moto pendolare
In questa fase però il rischio di colpi non centrati, angolarmente errati, è ridotta notevolmente perché la pallina è già stata “catturata” se si può usare questo termine improprio per rendere meglio l’idea. Per tornare all’aspetto “caotico”, quindi non controllabile dello swing in relazione ai moti pendolari, l’aver già preso la pallina consente di tenere sotto controllo tutte quelle conseguenze impreviste insite in un moto dove il braccio tende a fermarsi e la racchetta ad accelerare.
Gli svantaggi senza follow trought sono sostanzialmente due: si riduce l’arco di percorrenza della racchetta che diviene più corto, meno lineare e quindi si ha una riduzione delle tolleranze all’impatto, in più l’accelerazione repentina della testa della racchetta, con il braccio che tende a fermarsi, rende più difficoltoso tenere sotto controllo la precisione della collisione.

L’intenzione del giocatore dovrebbe quindi essere quella di cercare di proseguire la propria azione con il singolo pendolo il più possibile al fine di gestire il corretto impatto con un arco più ampio possibile la cui tendenza, linea teorica, dovrebbe essere quella della linea retta, anche se nei fatti non è praticabile. L’arco più ampio è quello che va dall’asse di rotazione spalla fino alla fine della racchetta.

Un modo pratico per esercitarsi proviene, anche in questo caso, da un consiglio della vecchia scuola, ovvero quello di immaginare o pensare di dover colpire più di una pallina oltre quella con cui stiamo per andare a collidere, come se ce ne fosse un’altra successiva, un’altra ancora e forse un’altra ancora.

Si tratta di un messaggio molto pratico, che forse al tempo non aveva una suffragazione scientifica alla base, ma che oggi, anche se si tratta di una visione empirica, trova dei riscontri e dei collegamenti con aspetti scientifici dell’analisi dei colpi nel tennis.

Come si può notare dai disegni un rilascio anticipato della racchetta, innescando la chiusura della rotazione, permette di colpire meno palline in modo corretto, al contrario un prolungamento del movimento su un arco più ampio permette al piatto corde di avere un numero di palline ideale maggiore all’interno dello spazio ottimale di collisione. Rilasciare la racchetta per un doppio moto pendolare troppo presto ritengo che sia sempre un rischio: forse un po’ prima può andar bene, ma essendo i tempi d’impatto talmente limitati potrebbe risultare improbo gestire quei pochi millesimi di secondo ogni giorno, ogni volta, con la stanchezza che subentra, con il cambio delle condizioni ambientali e con il cambio della superficie.

La scelta più efficiente potrebbe essere quella di gestire l’innesco del doppio pendolo il più lontano possibile nel colpo, ovvero una volta avvenuto il contatto, ed in questo caso avremmo anche una sensazione cinestetica per sapere quando è il momento per rilasciare l’energia verso la racchetta.
Nel video che vedete in basso, del quale ringraziamo lo youtuber Anatoly Antipin, i fotogrammi di una ripresa di un dritto di Roger Federer sono stati messi in relazione alla velocità del braccio (indicata con il termine hand), la velocità della racchetta e la velocità della pallina in uscita, la quale fornisce l’indicazione del momento dell’impatto. Non so quanto sia accurato il software con cui sono state fatte queste analisi ma forniscono comunque delle indicazioni valide. Intanto possiamo vedere quando avviene l’innesco del doppio moto pendolare il quale accade quando la velocità della mano (linea blu) si riduce drasticamente e la velocità della racchetta (linea rossa) sale repentinamente verso l’alto.

Si può inoltre notare che il momento dell’impatto, visualizzabile quando la linea marrone (la pallina) schizza verso l’alto, si trova in un’area di confine tra il movimento a pendolo singolo e l’innesco del doppio moto pendolare e comunque non accade nel punto di massimo rilascio della racchetta che avviene quando la pallina è già stata colpita, infatti la linea marrone (quella della pallina) ha già raggiunto il suo apice in velocità molto prima della massima velocità della racchetta (linea rossa) e dell’abbassamento della velocità del braccio (linea blu).

Se si considera inoltre che una parte del tempo, anche se minimo, è occupato dal dwell time, ovvero dalla permanenza della pallina sul piatto corde, presumibilmente il contatto con il piatto corde avviene un po’ prima del momento in cui c’è il massimo scatto di velocità della palla e quindi credo sia possibile ritenere che Roger Federer abbia cercato di controllare il proprio movimento e l’innesco del doppio moto pendolare fino all’ultimo.

Per quello che riguarda l’andamento non lineare delle varie velocità che si nota nei grafici credo ci sia da sottolineare che, trattandosi di un movimento muscolare (fisico), non può essere un movimento perfettamente uniforme, pertanto subisce dei rallentamenti e delle accelerazioni nelle fasi nella varie fasi. Sarebbe inoltre opportuno fare un’analisi statistica su più colpi, in modo da avere un campione rappresentativo e poter fare delle analisi più approfondite.
Rimane comunque a mio giudizio evidente che la fase di colpo in rilascio della racchetta va ritardata il più possibile per avere maggiori vantaggi in consistenza, continuità ed efficacia.


Il divertimento è funzione dell’apprendimento

Gioco a più gradi di libertà
Se osserviamo gli animali in natura notiamo che sono tutti dediti al gioco. Canidi, felini, orche, uccelli, scimpanzé dedicano tutti molte ore ad attività ludiche. Giocano tra di loro o con oggetti, alcuni giochi, in alcune specie, implicano l’utilizzo di un’oggetto per un’attività specifica. Il gioco è un’attività dispendiosa in termini di calorie ed espone gli animali anche a dei rischi, per esempio quando sono coinvolti completamente a giocare aumentano i pericoli di divenire vittime di predatori. Inoltre le attività di gioco non sono finalizzate ad un obbiettivo immediato. Un gatto che gioca con una pallina non persegue nessuno obbiettivo specifico immediato perché né la pallina, tanto meno un gomitolo di cotone sono una preda di cui cibarsi. Si potrebbe quindi affermare che il gioco è fine a se stesso o quanto meno le finalità sono da individuare a lungo termine. Il cibo ai cuccioli di felino lo porta ancora la madre quindi da questo punto di vista, mentre giocano, sono sollevati dal raggiungimento dell’obiettivo finale, del risultato.

Le funzioni del gioco libero sono molteplici: permettono lo sviluppo motorio, ad apprendere determinate abilità, a instaurare relazioni sociali ma ognuno di questi scopi è collegato in modo indiretto al gioco. Gli scimpanzé, per esempio, sin da piccoli imparano a giocare con dei bastoncini con i quali catturano le termiti, ma riusciranno a affinare la tecnica solo dopo molto tempo, da adulti; all’inizio, da cuccioli, non ottengono risultati. La loro è solo un attività che, attraverso il gioco non orientato al risultato, permette l’acquisizione graduale di capacità che risulteranno utili in futuro.
Il gioco svincolato da un obiettivo immediato gode di un grado di libertà maggiore che, oltre all’acquisizione di abilità, permette di sperimentare nuove soluzioni comportamentali che potrebbero risultare vantaggiose. Presumibilmente tale grado di libertà sarebbe notevolmente ridotto se l’attività fosse orientata al risultato, come per esempio la necessità di catturare una preda. Sperimentare nuovi comportamenti durante la caccia potrebbe risultare controproducente permettendo alla preda di fuggire con l’effetto di rimanere a pancia vuota.

Quando osserviamo i nostri animali domestici, un cane o un gatto, mentre giocano sia da cuccioli che da adulti abbiamo l’impressione che si stiano divertendo. Tale sensazione non è infondata, il loro piacere sembra evidente, esuberante e anche contagioso nei nostri confronti, strappa sempre un sorriso o una risata.

Ora se il gioco non è immediatamente finalizzato all’ottenimento di un risultato la conseguenza logica immediata è che il loro divertimento è una conseguenza del giocare in sé, la cui funzione principale è quella di permettere l’apprendimento di comportamenti e abilità utili in futuro. Il divertimento da questo punto di vista è strettamente correlato all'apprendimento, è funzione dell'apprendimento. Più i nostri amici sono nelle condizioni ambientali e mentali per apprendere e più si divertono. Al contrario un gatto che caccia, da adulto, appare estremamente concentrato, impegnato, determinato e non trasmette una sensazione di divertimento, ma le abilità necessarie sono state acquisite per mezzo del gioco e con piacere.

Non credo che ci siano motivi per pensare che le cose siano molto diverse in ambito umano. Quando i cuccioli della specie Homo sapiens imparano un gioco che sia il calcio, il tennis, il basket, il baseball o la pallavolo è opportuno che il loro processo di apprendimento rimanga il più possibile svincolato dall’ottenimento del risultato. L’obbiettivo della vittoria, l’ottenimento del successo, potrebbe costituire un vincolo non indifferente per il processo di apprendimento che è ancora in corso. Blocca i gradi di libertà e inserisce ansia limitando di conseguenza l’apprendimento stesso.
L’obiettivo viene inconsciamente spostato: non è più imparare ma vincere. Ma siccome per vincere (ottenere il risultato) è necessario imparare il salto del passaggio crea una discontinuità a mio giudizio fatale per il suo miglioramento. È quindi necessario inserire le competizioni in modo graduale, proporzionato e con diverse tipologie di classifiche e premiazioni, in modo che gli ultimi di una classifica possano essere i primi in un'altra. Chi ha vinto il torneo possiede la migliore esecuzione di dritto? Non necessariamente, tale premio potrebbe andare anche all’ultimo arrivato. Il primo arrivato è anche quello atleticamente più preparato? Il più veloce? Il miglior giocatore di rete? Non necessariamente.

Lo scopo principale è quello di cercare di mantenere intatto il processo di apprendimento e di gioco senza inserire variabili che, troppo presto potrebbero condizionarlo. Se tutti i gattini in natura dovessero procacciarsi il cibo senza sperimentare nel gioco le abilità della caccia, senza che la madre gli porti prede ancora vive per esercitarsi, molto probabilmente sul pianeta terra questa specie di gatti sarebbe sulla via veloce dell’estinzione.

Spinale Direttissima. Madonna di Campiglio.
In fondo ci divertiamo perché impariamo e più impariamo più ci divertiamo e se l’obbiettivo è il divertimento saremo psicologicamente più predisposti a imparare. Questo processo virtuoso a feed back positivo permette di crescere tecnicamente in tutte le attività sportive e non dovrebbe essere limitato nel suo sviluppo. Un obbiettivo esterno, come la vittoria o il successo andrebbe inserito, dal punto di vista pedagogico, solo come conseguenza dell’apprendimento e non come fine ultimo. In effetti, a ben guardare, se l’acquisizione tecnica avviene in modo corretto il raggiungimento di un obiettivo esogeno è una conseguenza. Se un felino impara a mimetizzarsi in modo appropriato e a scattare con rapidità e tempismo il raggiungimento della preda può essere addirittura scontato, in determinate circostanze.

Allo stesso modo se un tennista acquisisce, in modo ludico, una tecnica efficacie di esecuzione dei colpi la vittoria della partita o del torneo sarà una conseguenza delle competenze acquisite. Lo stesso si può dire di un calciatore, di un giocatore di basket o di baseball, di un nuotatore o di uno sciatore. Il divertimento è funzione dell’apprendimento e non necessariamente dell’impegno che, se estrapolato da un contesto pedagogico, può risultare addirittura inutile.
Lo sport, qualunque tipo di sport, è sotto questo aspetto un modo per rendere i nostri figli artefici del proprio divertimento, perché il divertimento dipende dalle conoscenze che acquisiamo e quindi da noi stessi. Se impariamo a sciare ad alta velocità sulla Gran Risa questo divertimento sarà nostro, pienamente nostro. Se impariamo a colpire il rovescio incrociato come Roger Federer, anche se con meno costanza atletica, questo divertimento sarò nostro (vi assicuro che si può fare).

Insegnare la cultura del divertimento per apprendimento è un modo semplice per impedire che i nostri figli divengano vulnerabili ai piaceri e ai divertimenti esogeni come le droghe che li rendono dipendenti da chi le sintetizza o di chi le produce. Dipendenti da un fattore esterno a se stessi.
Dopo che mio figlio, a 8 anni, ha imparato la tecnica per sciare sulle piste nere l’ho portato sull’ottovolante del luna park e gli ho chiesto se fosse più divertente sciare sulla “Spinale Direttissima” o andare sull’otto volante. Lui mi ha risposto: “La spinale direttissima”.

Questa pista è una delle più difficili di tutto il comprensorio delle Alpi e si trova a Madonna di Campiglio. La risposta di mio figlio ritengo abbia un valore particolare.

Per divertirsi sull’ottovolante c’è bisogno delle competenze di un ingegnere che lo costruisce. Scendere da un pendio difficoltoso come quello della Spinale Direttissima dipende molto di più dalle proprie capacità acquisite. Rendiamoci indipendenti, artefici del proprio divertimento.

Dove inizia la rivoluzione: rendere lineare il moto caotico dello swing nel tennis

https://www.myphysicslab.com
Non di rado sono i dettegli che innescano cambiamenti significativi. Soprattutto nel modo di oggi, altamente interconnesso da ogni punto di vista, sia sociale che economico e culturale, è opportuno predisporre la nostra mente ad analizzare i problemi seguendo un approccio il più possibile complesso. Questo implica che dobbiamo aspettarci che piccole differenze, in alcuni casi, siano l’innesco di cambiamenti macroscopici e in alcuni casi addirittura imprevedibili. Quando questo accade ci troviamo davanti a un sistema caotico. Al contrario un sistema lineare è prevedibile: se viene modificato un fattore il suo comportamento subisce delle modifiche che sono calcolabili e seguono determinati andamenti in relazioni a precise funzioni. Ora un sistema lineare può essere complesso, ovvero condizionabile o condizionato da più variabili, anche in gran numero, che interagiscono in più modi, ma non necessariamente caotico.

Per avere maggiore intellegibilità dei fenomeni è opportuno studiare la complessità delle interazioni ma soprattutto cercare di comprendere se ci sono o meno degli aspetti caotici. Solo così possiamo avere una maggiore comprensione e possibilità di controllo del sistema ed utilizzarlo, eventualmente, per scopi determinati. Un processo di riduzione di complessità consente di eliminare da un sistema un determinato numero di variabili, in questo modo possiamo studiarlo meglio e trovare dei campi di applicazione. Eliminare variabili essenziali o un grande numero di esse potrebbe anche modificare la natura del sistema stesso. In modo particolare, se si riesce a scoprire cosa innesca processi caotici e imprevedibili un sistema caotico potrebbe essere ricondotto a un sistema lineare pienamente intellegibile e funzionale a scopi prefissati. Non è questa la sede in cui tratteremo le conseguenze epistemologiche relative alla piena conoscenza deterministica dei sistemi caotici. Qui ci occuperemo di tennis ma alcune indicazioni sono necessarie.

Un classico pendolo singolo
Edward Lorenz il teorico dei sistemi caotici e dell'effetto farfalla capì la rilevanza di questi concetti studiando i sistemi meteorologici. Comprese che piccole variazioni potevano innescare cambiamenti imponenti. Per scatenare uragani potrebbe essere sufficiente il battito d'ali di una farfalla. Oggi le previsioni meteorologiche sono affidabili entro tre giorni perché anche la riduzione della variabile tempo permette di diminuire la complessità del sistema escludendone gli aspetti imprevedibili (caotici). Con il progressivo allungamento della variabile tempo le previsioni divengono probabilisticamente meno attendibili, perché gli effetti caotici non sono più "esclusi" ma divengono via via più evidenti e sostanziali. Ridurre la complessità di un sistema permette quindi di avere una maggiore intelligibilità dei fenomeni. Aumenta il margine di previsione e anche le possibilità di controllo di un sistema.

Anche sistemi relativamente semplici possono avere intrinseche condizioni caotiche che ne condizionano il comportamento in modo imprevedibile. Dovremmo chiederci, pertanto, se nel gioco del tennis esistono movimenti che, data la loro struttura, hanno dei risvolti imprevedibili che il nostro corpo è chiamato a controllare con uno sforzo volontario.

Il professor Rod Cross è stato, come già scritto, con i suoi studi, una fonte fondamentale per approfondire certi argomenti. Gli studi consultabili alla Tennis Warehouse University lo sono stati altrettanto. Inoltre il loro invito a utilizzare le analisi per scopi di allenamento e approfondimento della tecnica di gioco è stata un'opportunità che ho colto con interesse e piacere.
La correttezza scientifica di questi studi ci pone davanti ad alcuni aspetti da valutare con attenzione per sapere se è conveniente o meno utilizzare un certo tipo di tecnica per colpire. La base da cui partire è quella che analizza il moto di un doppio pendolo. Come evidenziato da analisi di tipo generale di Erik Neumann (https://www.myphysicslab.com/pendulum/double-pendulum-en.html) per movimenti di piccola entità si stratta di un sistema lineare mentre per movimenti più ampi siamo davanti a un sistema caotico. E' un'aspetto iniziale da non sottovalutare.

Questo vuol dire che quando siamo in presenza di swing di breve ampiezza e velocità moderata il movimento dei due pendoli è prevedibile mentre con swing più ampi e velocità maggiori il comportamento è caotico. Si fermano e ripartono improvvisamente, scambiandosi energia in oscillazioni molto varie e dinamiche. Come si può vedere dalla simulazione interattiva che trovate qui, corredata di grafico di riferimento. Se trascinate uno dei due pendoli in modo che l'oscillazione sia più ampia il loro movimento diviene divertente ma fuori da ogni aspettativa intuitiva. In questo esperimento i due pendoli sono collegati l'uno all'altro in modo da avere la maggiore libertà di movimento.

Per la similitudine con il tennis c’è da notare che il nostro braccio e il nostro avambraccio non hanno questa libertà di movimento: il gomito permette di flettere l'avambraccio solo in un senso e questo riduce la complessità del sistema braccio, avambraccio. Il polso però permette alla mano un'ampia libertà di movimento e l'avambraccio può ruotare in senso orario e antiorario l'ulna e il radio (pronazione e supinazione). Inoltre il sistema dell'uomo comprensivo di braccio, avambraccio e racchetta è più simile a un triplo pendolo. Ma anche rimanendo, per comodità di analisi, al doppio pendolo e ammettendo che l'articolazione del gomito riduca il numero degli spostamenti, impedendone una cospicua quantità (tutti quelli all'indietro), credo che i margini di imprevedibilità di un doppio pendolo composto da avambraccio e racchetta rimangano comunque molto ampi ad alte velocità, soprattutto in relazione alla funzione da svolgere, che nel tennis è quella di colpire una pallina con precisione per farla ricadere all'interno del campo. La realtà del triplo pendolo e la possibilità di rotazione dell'avambraccio complicano le cose forse addirittura aumentando il grado di complessità.

Lo swing verso l'alto a un pendolo di Rafael Nadal
Ma la domanda rimarrebbe comunque la stessa. Perché affidarci a un sistema che ha intrinseche caratteristiche caotiche per svolgere un lavoro di precisione? Saremmo stupiti se un giorno le cose andassero bene e magari il giorno successivo no? Personalmente non credo. L'utilizzo di un sistema di questo tipo è estremamente influenzabile e influenzato dal cambiamento di ogni piccola variabile: una spinta maggiore di gambe, un'accelerazione maggiore o minore del braccio, un disequilibrio, una rotazione dell'anca più o meno accentuata, un diverso rimbalzo, un campo più o memo veloce, una racchetta dal bilanciamento diverso. Ogni piccola differenza, si ripercuoterebbe, attraverso il trasferimento dell'energia dall'interno verso l'esterno, sulla velocità, sulle traiettorie e sull’angolazione della racchetta al momento dell'impatto. Il nostro giorno di forma e quello in cui siamo "fuori palla" sarebbero dipendenti da minimi cambiamenti contingenti, sia interni che esterni al sitema  (anche ambientali), perché ci affidiamo a un sistema intrinsecamente caotico per colpire la palla. Un sistema che è altamente sensibile alle condizioni iniziali ed ai loro cambiamenti.

Se ipoteticamente potessimo ridurre la complessità e affidarci a un sistema lineare tutto sarebbe più prevedibile, meno soggetto a cambiamenti macroscopici e repentini, più controllabile.
Ora un sistema lineare è il pendolo singolo: se ne può prevedere velocità e traiettoria ed anche in caso di modifica delle variabili iniziali il suo comportamento rimane prevedibile. Per rendere il nostro sistema braccio, avambraccio, racchetta un unico pendolo è necessario controllare e ridurre l’uso delle articolazioni. Il modo migliore per farlo è quello di usare tutto il braccio racchetta con l’asse di rotazione all’altezza della spalla. Evitare l’uso di polso e gomito ed anche cercare di sottrarsi alla rotazione dell’avambraccio al momento dell’impatto. Non è ovviamente di un compito semplice, perché si tratta cercare di scongiurare movimenti naturali delle articolazioni, le quali però innescano duplici o triplici moti pendolari aumentando il rischio di perdere il controllo dello swing e di conseguenza dei nostri colpi.

Questo tipo di swing è inoltre contro intuitivo ed ha degli aspetti dinamici che lo rendono opposto al modo classico di concepire lo swing quando lo si descrive in termini di trasferimento di energia dall’interno verso l’esterno, energia che partendo dal basso (gambe, anche, tronco, spalla, braccio, avambraccio) vien trasferita alla racchetta per fargli acquisire maggiore velocità. Con la soluzione ad un pendolo le ultime fasi di trasferimento, dalla spalla in poi, vanno consciamente eluse, o lameno controllate il più possibile per evitare l'innesco del sitema a doppio pendolo.

Inoltre sarebbe impossibile accelerare tutto il braccio racchetta da fermo sembreremmo ingessati e innaturali, ma se guardiamo i migliori tennisti in televisione questo non accade perché entra in gioco la forza di gravita sfruttata e utilizzata per accelerare gradualmente i segmenti più brevi in successione (racchetta, avambraccio, braccio) e portare in movimento l’intero braccio racchetta (il pendolo unico). Con queste dinamiche le anche e il busto intervengo per coadiuvare la velocità acquisita dal braccio e permettere di affacciarsi alla rete per una migliore visione.

Si tratta di un modo diverso di analizzare lo swing nelle sue parti che rivede il ruolo di tutte le componenti all’interno di un sistema in cui la catena cinetica parte prima dall’esterno e va verso l’interno, viene poi agevolata, in senso classico, dall’interno ma in funzione di mantenere o incrementare la velocità dell’intero sistema braccio racchetta nell’ottica di evitare doppi o tripli moti pendolari.

Personalmente credo che ci siano chiari vantaggi in questa soluzione. Due dei più grandi tennisti di sempre Rafael Nadal e Roger Federer, se osservati con attenzione al rallentatore, utilizzano questo modo di giocare nei propri colpi fondamentali. Ci sono stati anche precursori bravi e longevi di cui parleremo e che analizzeremo.

Semplifichiamo tutto. Giochiamo a un pendolo. L’alternativa potrebbe essere quella di rassegnarsi a non comprende i motivi di molti cali di rendimento e ritrovarsi a spiegare “il tennis come un’esperienza religiosa”, mentre la scelta migliore è quello di vederlo come un’esperienza scientifica.

Stay tuned

Oscillazioni

Jannik Sinner il predestinato di Darwin e Wallace

Il modo di ragionare è semplice lo devo a Charles Darwin e Wallace. Quando il naturalista inglese si imbatté nell'orchidea cometa si chi...