Il tennis moderno ha abolito la fantasia. Presto un robot batterà il n.1 del mondo

"La fantasia è come la marmellata, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane". 

L’aforisma di Italo Calvino ci ricorda che la  fantasia lasciata a se stessa rischia di essere qualcosa di indistinto, rischia di essere troppo vaga e quindi poco utile. In qualunque sport abbiamo a che fare con azioni fisiche, tangibili, concrete. L’estro, la creatività, la personalizzazione sono caratteristiche  indubbiamente utili che rendono un atleta unico e i campioni irripetibili, ma per farlo devono essere sorrette da solide fondamenta. I programmi di allenamento, i modelli esecutivi, un approccio razionale sono limitanti per la  creatività da un lato, ma dall’altro forniscono l’intelaiatura che permette alla creatività di esprimersi in modo funzionale e efficace. Da questo connubio credo che un atleta creativo esca ancora più competitivo perché sa scegliere il momento e il modo per utilizzare la  propria creatività. 

La fantasia ha bisogno di pazienza. Da un lato è opportuno costruire delle solide basi tecniche ed atletiche per permettano di esprimerla al meglio per essere efficacie. Dall'altro lato è necessario scegliere il momento giusto per esprimerla in competizione. E' una ciliegina sulla tornata. Non bisogna abusarne perché il rischio è che sia controproducente.

La fantasia ha bisogno di tempo.  Scegliere il momento e l'opportunità per cambiare è un'azione che si può fare solo se si ha del tempo a disposizione per valutare una soluzione fuori dagli schemi consueti di gioco. C'è bisogno di tempo per valutare e per eseguire un colpo o una serie di colpi diversi.

Il tennis moderno ha abolito la fantasia. Di fatto non esiste più. Si limita a qualche palla corta e qualche discesa a rete in situazioni particolari, in cui è necessario variare il gioco e nulla più. Questo è successo perché di fatto non c'è più tempo per pensare ed eseguire qualcosa di diverso. La standardizzazione e la velocità di gioco rendono quasi impossibile uscire dagli schemi esecutivi interiorizzati ed automatizzati. I giocatori eseguono, ormai, colpi ripetitivi all'interno di schemi ripetitivi. 

Sparirà lentamente anche l'ultima goccia di fantasia rimasta ed applicabile al gioco, forse è già evaporata, e il tennis diverrà un gioco di soli automatismi. Un gioco di robot! In attesa dell'errore esecutivo dell'avversario. Ma i robot sono molto più bravi degli uomini nello svolgere azioni sempre uguali e ripetitive, pertanto gli uomini non riusciranno più a competere con i robot.
Saranno sufficienti poche ma chiare istruzioni e le prime di servizio saranno tutte in campo. Un minino di mobilità e, se qualcuno sarà in grado di rispondere, non ci saranno dubbi sull'esito del dritto successivo e del punto. Non perdere mai il servizio è un buon punto di partenza. I robot moderni hanno già un buon grado di mobilità. Nel caso qualcuno fosse scettico guadate cosa sanno fare quelli della Boston Dymanic.
Fossi nel n.1 del mondo non mi sentirei tanto tranquillo!



Eliminare ogni preoccupazione per una consapevolezza di livello superiore


Fregatevene dell'ambiente, fregatevene del risultato, fregatevene dell'avversario. Fregatevene delle chiacchiere al bar. Fregatevene di quello che potrà scrivere la stampa.

Una volta raggiunto un allenamento tecnico sufficiente è opportuno che la vostra mente si liberi anche dalle preoccupazioni più contingenti che possono influenzare il livello di concentrazione sul compito che state svolgendo. In questo caso (il tennis) colpire una pallina e indirizzarla in un'area delimitata. Indirizzarla più volte secondo la vostra volontà e il gioco che avete in mente. Tutto ciò che non rientra in questo lavoro è da considerare un elemento distraente di cui non dovete tenere conto, soprattutto se è al di fuori delle vostre possibilità di controllo.

Colpire una palla in un certo modo è tecnica, colpirla più volte per come volete per dirigere il gioco è tattica. Rimanere concentrati su queste azioni da compiere significa rimanere focalizzati sul processo, ovvero un insieme di cose che vogliamo eseguire. Il processo tecnico tattico è il vostro obiettivo principale. Tutto il resto è distrazione.

La vita moderna è sempre più colma di fonti di distrazione: cose da fare in tempi limitati, appuntamenti, impegni, richieste. I cellulari si riempiono sempre di notifiche molto spesso superflue. Ogni cosa che accade è una potenziale interruzione della vostra concentrazione. Anche l'arrivo di un amico, un conoscente o un parente a bordo campo può distogliervi dall'attività che state svolgendo.

Un primo approccio mentale utile è quello di lasciare fuori dal campo tutto quello che fa parte della vita extra sportiva: ogni tipo di preoccupazione, ogni impegno, ogni pensiero non inerente allo sport va sospeso. L'attività sportiva deve essere un rifugio dalle situazioni lavorative e familiari quotidiane per la vostra mente. Un'isola dove è difficile arrivare, impossibile arrivare.

Accettate l'ambiente di gioco e quello circostante.

Tutte le attività sportive risentono dell'ambiente. Le condizioni atmosferiche (vento, pioggia, temperatura) la presenza del pubblico e il suo comportamento, la presenza di familiari o amici, un arbitro poco gradito, una decisione arbitrale, sono tutti fattori che possono distogliere la vostra concentrazione. Una superficie più o meno veloce nel tennis può rendere più complessa la ricerca del timing e l'esecuzione dei colpi. Prestare troppa attenzione a questi aspetti, che non possiamo controllare, significa non dedicarla alla vostra attività principale che è il processo tecnico-tattico. Tutti gli aspetti che riguardano l'ambiente non sono controllabili direttamente dall'atleta, quindi ogni preoccupazione al riguardo è frustrante, perché la situazione non può essere modificata. Gli effetti negativi sulla prestazione possono essere notevoli.

Non preoccupatevi dell'avversario.

Nemmeno l'avversario è una variabile controllabile. Non potete decidere di farlo giocare meglio o peggio, o secondo le vostre aspettative. Nel tennis l'osservazione dell'avversario è più importante rispetto ad altri sport. E' opportuno osservarlo per vedere la sua posizione in campo e l'esecuzione dei colpi, in modo da valutare gli spostamenti e la traiettoria della pallina per reagire di conseguenza, ma questa attenzione non deve diventare una preoccupazione di quello che farà, di come reagirà alle vostre soluzioni, di come sta giocando rispetto a voi. Deve rimanere funzionale al vostro gioco, in caso contrario, sarà un fattore che distrae.

L'unica cosa su cui potete influire è il vostro gioco e farsi aspettative riguardo al gioco dell'avversario non ne fa parte.

Concentratevi sul processo non sul risultato.

Potrà sembrare strano ma se la vostra mente indugia sul risultato della partita, su ciò che vi aspettate da questa, o presta troppa attenzione al punteggio in corso questo devierà la vostra attenzione dal processo tecnico e tattico. Gli sports ed il tennis sono composti da azioni non da ipotesi o valutazioni. Nel momento della competizione è opportuno rimanere concentrati sulle azioni e sul tempo presente. Per le valutazioni dei risultati c'è tutto il tempo a fine gara, a mente fredda. Non lasciate che la vostra mente vada troppo avanti, pensando a quello che potrebbe accadere a come potrebbe svilupparsi il gioco o una situazione. Rimanete nel presente del gioco.

Il risultato finale è solo l'effetto del processo esecutivo messo in atto e se la vostra mente devia l'attenzione dal processo l'effetto ne risentirà. Avere obiettivi tecnici e tattici chiari aiuta a mantenere la concentrazione su quello stiamo facendo, sul compito immediato, aumentando le probabilità di realizzazione dell'effetto desiderato, che è riassumibile nella vittoria.

Ogni possibile fonte di preoccupazione va eliminata, solo così si possono raggiungere esperienze gratificanti e i migliori risultati.

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Mente, abilità e competenze trasversali nel tennis

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Non di rado abbiamo l'abitudine a ragionare per compartimenti stagni. Quello che facciamo in un determinato ambito rimane confinato alla materia o al compito di riferimento. La scuola è la scuola, la storia è la storia, la matematica è la matematica, la letteratura è la letteratura, un coniglio è un coniglio. La nostra mente lavora per categorie perché è un modo semplice e utile per ragionare, svolgere attività, catalogare e archiviare. Ma è opportuno anche avere una visione d'insieme, infatti la realtà non è rigidamente separata in comparti, ma è piena di connessioni, sfumature, relazioni. Una visione a compartimenti stagni non sarà mai una rappresentazione approfondita della realtà. 

Anche negli sport, che svolgiamo a scopo ludico o professionale, avere una visione d'insieme per stabilire attinenze tra abilità e compiti da svolgere riveste un ruolo fondamentale. Infatti molte delle abilità posso essere acquisite e utilizzate in ambiti e contesti diversi, inoltre queste abilità possono essere anche allenate in situazioni diverse e facilmente trasferite da un ambiente ad un altro.

Anche nel tennis ci sono diverse competenze trasversali.

Le principali sono le abilità atletiche e le abilità mentali. 

La capacità di concentrazione sul compito, la memoria in generale e la memoria motoria, hanno un effetto diretto sull'apprendimento tecnico e sul richiamo di situazioni di gioco e sono da considerare delle abilità mentali.

L'allenamento aerobico, anaerobico e della soglia anaerobica sono i principali allenamenti che consentono lo sviluppo di abilità atletiche da utilizzare anche sul campo da tennis.

Ce ne possono essere anche altre, come per esempio, l'allenamento dell'equilibrio o la gestione dello stress e delle emozioni ma non entreremo nello specifico dei singoli allenamenti che lasceremo ai preparatori atletici e mentali.

E' opportuno evidenziare che per acquisire e migliorare queste caratteristiche non è necessario avere un ambiente specifico di riferimento. Possono essere allenate anche fuori dal campo da tennis, senza una rete, senza una racchetta e senza una pallina, però tutti i vantaggi acquisiti sono subito spendibili nel nostro sport preferito. Anche se l'aspetto del piacere del gioco non è presente dovremmo essere più lungimiranti quando dedichiamo tempo a questo tipo di allenamenti senza racchetta.

Una considerazione particolare lo meritano le abilità mentali. Concentrazione e memoria infatti non sono settoriali: non esiste una memoria per il tennis o una concentrazione specifica per uno sport invece che per un altro. Sono peculiarità talmente indipendenti che possono essere allenate anche svolgendo compiti molto diversi tra di loro. Leggere, studiare, o qualsiasi altro compito che richiede una capacità di concentrazione e di memorizzazione prolungate è in grado di allenare queste abilità. Ovviamente le condizioni ambientali di gioco e le caratteristiche di ogni sport impongono aggiustamenti specifici. La memoria dovrà essere finalizzata all'acquisizione di soluzioni tecniche e tattiche determinate; la concentrazione dovrà far fronte a variabili distraenti diverse, come il pubblico, lo stress, la presenza dell'avversario; ma i connotati principali rimangono gli stessi. Sono abilità portabili nella loro sostanza.

Se si arriva sul campo di allenamento con questi bagagli di abilità già sviluppati, se vengono curati anche al di fuori dell'attività sportiva, l'atleta partirà sicuramente da una condizione di vantaggio e dovrà dedicarsi esclusivamente ai compiti specifici del proprio sport.

Un ulteriore esempio è l'attenzione ai particolari e la loro cura, condizioni che possono essere esercitate in ogni ambito della propria vita e permettono di sviluppare un modus organizzativo mentale che risulterà utile anche nell'acquisizione della tecnica nonché nella gestione tattica di una competizione.

Negli sport moderni le competizioni sono sempre più serrate, più difficili e dure. L'aumento di complessità e l'elevata competitività richiedono la predisposizione mentale e caratteriale a cercare di migliorarsi sempre, limando il particolare per progredire anche in modo infinitesimale. Pertanto al fine di raggiungere gli obiettivi è sempre più necessario utilizzare un ventaglio, il più possibile completo, di abilità e competenze trasversali e trasferibili.

Consapevoli di poter vincere

Consapevolezza. (pexels.com)

Per indicare una sensazione di calma e sicurezza correlata ai propri mezzi sportivi è spesso abusato il verbo credere. Credere di poter vincere, credere di potercela fare. In realtà non è la migliore definizione che si possa dare della confidenza che possiede un atleta nei propri mezzi per raggiungere una determinata prestazione.

Il verbo credere fa riferimento a qualcosa di astratto, privo di basi concrete. Gli sport e il tennis sono fatti di azioni tangibili da svolgere in uno spazio e in un tempo determinati. La sicurezza di un atleta affonda le radici in una realtà fisica, che non ha niente di astratto. Credere in qualcosa può essere addirittura fuorviante, può portare a sovrastimare le proprie possibilità innescando una serie di alti e bassi emotivi, illusioni e disillusioni, che dipendono dai risultati.

La sicurezza nei propri mezzi, la fiducia nelle proprie capacità, invece, guidano verso una consapevolezza di se stessi come atleti che è più consistente e meno dipendente dai risultati. Questa consapevolezza si alimenta costantemente di una percezione cosciente delle proprie abilità.

Al fine di raggiungere una massima e soddisfacente esperienza sportiva ed avere controllo di se stessi, buone sensazioni in campo e fiducia di riuscire è opportuno agire su tre aspetti principali:

1. Possedere solidi modelli tecnici e atletici di riferimento, di cui non dubitare.

2. Allenamento dei modelli fino all'automatismo esecutivo.

3. Progressione delle difficoltà attraverso bilanciamento continuo tra sfide e abilità acquisite (più crescono le abilità più si alza il livello degli obiettivi).

I modelli sono fondamentali perché hanno un effetto diretto nel creare  sicurezza nelle proprie esecuzioni sia che si tratti di modelli strettamente tecnici sia di modelli atletici di allenamento. Abbiamo visto che i due fattori si influenzano a vicenda e sono interconnessi.

L'allenamento è essenziale, una volta sicuri dei modelli di riferimento,  dovrà essere praticato fino all'automatismo esecutivo. Due sono i vantaggi principali: da una parte la sicurezza esecutiva consente di concentrarsi sulla prestazione e non sull'esecuzione, dall'altro consente  di tenere sotto controllo le variabili che sono presenti solo in partita. Gli spettatori, il tifo, rumori imprevisti. Maggiore sarà la pratica effettuata e minore sarà l'effetto distraente di tutte quelle variabili che si possono presentare in competizione e non ci sono in allenamento.

Il terzo punto consente di evitare sovra stime o sotto stime delle proprie abilità. In entrambi i casi, infatti, il disequilibrio tra le percezioni dell'atleta e la realtà preclude di avere un'ottima esperienza nella competizione. Se sovrastimiamo le nostre possibilità aumentano le probabilità che, alla prima difficoltà, ci si senta delusi e non appropriati al compito. Se invece sotto stimiamo il nostro gioco non sarà possibile entrare in campo con quella tranquillità che consente di esprimere le nostre qualità atletiche e tecniche al meglio. Saremo come schiacciati dal compito che ci aspetta perché lo riteniamo al di sopra delle nostre possibilità.

Nessun dubbio.

Quando siamo in competizione possono succedere molte cose, alcune delle quali impreviste. Molte altre sono al di fuori del nostro controllo, pertanto quando le cose vanno male, o come non ci saremmo aspettati, è probabile che alcuni dubbi iniziano a entrare nei nostri pensieri.

"Sto facendo la cosa giusta?", "Mi sarò preparato abbastanza?""Dove sbaglio?", "Perché?"

Questo tipo di pensieri minano la sicurezza degli atleti, la loro confidenza. Sono pensieri negativi che è necessario allontanare e non è sempre facile.

Il miglior modo è quello di essere sicuri della propria tecnica, della propria preparazione e del proprio allenamento.

Eravamo sicuri che potevamo riuscirci, perché l'avevamo fatto così tante volte in allenamento che non c'era nessuna paura, solo calma e una concentrazione fredda, rilassata. (Flow in Sports, pag. 58, Susana A. Jackson, Mihaly Csikszentmihalyi, Human Kinetics, 1999).

Non si tratta di un atto di fede, ma di una sicurezza che deriva dall'esperienza, dalla solidità dei modelli esecutivi di riferimento, dall'allenamento e dalla consapevolezza delle proprie abilità.

Il successo passa dalla conoscenza, anche nello sport

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Ogni atleta ha bisogno di feed back chiari su almeno tre aspetti fondamentali:

1) Il proprio fisico in relazione allo spazio di gioco;

2) esecuzione tecnica;

3) attrezzatura.

I tre aspetti si condizionano a vicenda, sono interconnessi. Una modifica dell'attrezzatura può ripercuotersi sull'esecuzione tecnica, così come può farlo una diversa preparazione atletica e una percezione diversa di se stessi nell'area di competizione.

Un cambiamento nella propria esecuzione può avere la necessità di essere accompagnato da una migliore o diversa preparazione.

Conoscere il proprio fisico, conoscere l'attrezzatura utilizzata, conoscere il proprio gioco.

Un atleta di livello internazionale non può fare a meno di queste qualità, le quali sono essenziali per tutti gli agonisti ed anche per i giocatori ricreativi con le dovute proporzioni.

Una delle situazioni più problematiche è quella che deriva dalla presenza di feed back ambigui, ovvero la difficoltà o l'impossibilità di distinguere la causa degli errori o di una o più prestazioni sottotono rispetto ai propri standard. Si ferma il processo di crescita, si insinua la sfiducia e si rischia l'involuzione.

Thomas Muster ne parlò in un'intervista alla BBC alcuni anni fa, quando dopo il successo al Roland Garros, nel 1995, il cambiamento della racchetta, finalizzato a giocare meglio sulle superficie veloci, innescò un processo di perdita di confidenza nelle esecuzioni. La transizione tra le due attrezzature non fu rapida e facilmente realizzabile come si poteva ipotizzare [Intervista a Muster].

Ne emerge che, nel tennis e negli sport in generale, la consapevolezza e l'incremento delle conoscenze sono divenuti e diverranno condizioni sempre più essenziali per le prestazioni degli atleti, ai quali sarà richiesto di sapere le basi sui materiali delle racchette, delle corde, conoscere un minimo i principi della fisica (momento elastico, momento d'inerzia, moto pendolare, il funzionamento delle leve). Sapere cos'è l'allenamento aerobico, quello anaerobico e quello in soglia. Conoscere il proprio vo2 max. Non perché ci sia un obbligo scolastico, ma perché un certo tipo di conoscenze di base sono utili nel caso in cui si debba comprendere meglio le cause delle proprie prestazioni, sia quando sono ottimali che quando appaiono al di sotto delle aspettative.

In linea generale si può affermare che gli sports crescono di complessità in base all'uso dell'attrezzatura e alla conformazione dell'aera di competizione o campo di gioco. Questo accade perché aumentano le variabili che influiscono sulle prestazioni del sistema atleta. Uno sciatore dovrà tener conto, oltre che del proprio fisico, degli sci, degli scarponi, delle lamine, del pendio di gara e del tracciato. Anche se ci sono ottimi ski man, al fine di fornire indicazioni essenziali dovrà avere un'infarinatura sulla preparazione degli sci. Troppo filo? Meno filo? Un maggiore o un minore angolo della lamina che effetti anno sulla sciata anche in base alle condizioni della neve?

Lo sport con meno variabili da questo punto di vista è l'atletica leggera, ma anche qui la complessità varia in base alla disciplina, perché ci possono essere attrezzature da utilizzare o presenti nell'area di competizione come nel caso della corsa ad ostacoli.

Nel tennis le conoscenze dovranno riguardare alcuni i principi della fisica relativi alle corde e alle racchette. Spesso nei circoli, per esempio, si sente utilizzare in modo improprio i concetti di leva o momento di inerzia. Per evitare fraintendimenti è opportuno invece essere il più precisi possibile e non dare nulla per scontato.

Un giocatore che conosce più cose è già un giocatore migliore. La mente umana lavora sulle conoscenze a livello inconscio anche solo per il fatto di essercisi imbattuta. Un atleta consapevole è un individuo che amplifica le proprie possibilità di successo e si mette nelle migliori condizioni per percorrere la strada di un'esperienza piena e soddisfacente.

E' in grado di correggere meglio gli errori, si rende conto quando e dove intervenire, ha una visione più chiara dei propri feed back di gioco, tecnici, atletici e di attrezzatura. Interagisce meglio con il proprio staff: preparatore atletico, mental coach, nutrizionista. Naturalmente la stessa avidità di informazioni è richiesta a tutto lo staff affinché la preparazione non soffra di ambiguità, che sono la ruggine negli ingranaggi di un giocatore.

Coloro che non si accontentano di esercizi ripetitivi, di un addestramento meccanico, ma scelgono un percorso di allenamento conoscitivo approfondito imparano prima, meglio, di più, e percorrono la strada verso il successo.

Federer, Djokovic, Nadal: un esempio di crescita e zona di comfort


Uscire dalla comfort zone diviene una necessità per affrontare nuove sfide e iniziare un percorso di crescita. Spesso è la paura del fallimento che trattiene le persone dal prendere i rischi necessari a migliorare. Rimanere ancorati nella propria zona di conforto e controllo, anche psicologico, impedisce di acquisire nuove abilità.

Il percorso, però, dovrà essere graduale con sfide di ambiente e personali commisurate alla crescita delle proprie abilità.

Infatti il rischio di fissare obiettivi troppo elevanti è concreto. Il risultato sarebbe quello di sentire il peso di una sfida come troppo grande e non riuscire ad affrontare con serenità il percorso di sviluppo tecnico e atletico, condizionati da una percezione che induce ansia e un senso di sfiducia.

Questo non significa abbandonare le proprie ambizioni ma, qualora fossero di alto livello, sarà opportuno suddividerle in un percorso di obiettivi più piccoli e graduali in modo da renderli singolarmente alla propria portata e non sentirli lontani e quindi demoralizzanti. Il percorso di crescita sarà gratificante, passando dall'acquisizione di nuove competenze fino al raggiungimento di un obiettivo, con il conseguente passaggio ad uno nuovo, più elevato. Una scala di crescita che può arrivare fino a propositi di alto profilo. Passaggi graduali percepiti come raggiungibili in relazione alla sviluppo delle proprie abilità, attraverso sfide tecnico agonistiche crescenti.

Una programmazione graduale è fondamentale, per evitare due estremi. Compiti da svolgere troppo difficili che possono indurre ansia, frustrazione e preoccupazione. Compiti da svolgere troppo semplici che possono suscitare perdita di interesse.

Sfide ed impegni eccessivamente semplici, percepiti sotto il proprio livello possono indurre noia e distacco, condizione che, anch'essa, può limitare, addirittura fermare, il processo di crescita dell'atleta.

Sono da evitare sfide troppo difficili e troppo semplici, ma nella realtà questo non è sempre possibile, perché possiamo trovare avversari troppo bravi per noi in quel momento o di un livello molto inferiore. Quando si verifica una di queste situazioni è opportuno definire chiaramente il nostro scopo principale il quale dovrà essere diverso dal raggiungimento della vittoria.

Nel primo caso, infatti, quello di un avversario superiore, vincere potrebbe essere un obiettivo troppo difficile da raggiungere; nel secondo eccessivamente semplice.

Stabilire un numero di punti da vincere sul servizio dell'avversario; proporsi di portare ai vantaggi un certo numero di giochi; concentrarsi nell'esecuzione di alcuni schemi di gioco ben riusciti sono solo alcuni esempi di obiettivi circoscritti all'interno di una sfida che potrebbe apparire insormontabile.

Questo metodo può essere utilizzato anche in caso di sfide troppo semplici, le quali sono pericolose perché rischiano di non coinvolgere l'atleta pienamente, sia dal punto di vista della concentrazione che dell'impegno. Sconfitte inaspettate contro avversari sfavoriti sono il risultato non raro di situazioni di questo tipo. Anche in questo caso circoscrivere i propri propositi di tecnici e di competizione risulta essere un buon metodo per mantenere un ottimo livello di focus sui compiti da svolgere. Non perdere mai il servizio; cercare di vincere ogni set con due break sul servizio avversario; alzare il numero dei vincenti o ridurre il numero degli errori gratuiti. La possibilità sono molteplici e possono essere definite dagli atleti insieme ai propri allenatori.

Gli incredibili risultati che sono riusciti a raggiungere Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic sono stati il frutto di una interazione reciproca, in cui i livelli dalla sfida venivano spostati sempre leggermente un po' più avanti ma non troppo. La percezione di un nuovo obiettivo raggiungibile un po' oltre la zona di comfort innesca percorsi virtuosi di crescita e massimo coinvolgimento psico fisico. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Il modello può essere riprodotto a tutti i livelli, anche per i giocatori di circolo e per i ragazzi dell'agonistica.

Obiettivi tecnici e di risultato via via crescenti e suddivisione in sotto target mirati definiscono il percorso e rendono percepibile la fattibilità evitando sotto coinvolgimento ed ansia da prestazione. 

Le aperture di dritto e rovescio

Non in senso classico.

Ampie, brevi, lineari o ovalizzate? Non parleremo di aperture in senso classico, ma dell'uso del braccio non dominate. Lasciamo alla personalizzazione e alla gestione tattica certe le scelte importanti ma non fondamentali come l'ampiezza e l'ovalizzazione.
Ci concentreremo sulla funzione del braccio sinistro per i destri e del destro per i mancini, la quale (funzione) rimane costante anche se l'intensità e la modalità del suo utilizzo possono variare. Alta, più bassa, breve, più lunga, amplissima ma è il braccio che non impugna la racchetta che partecipa attivamente per svolgere l'azione di apertura nel tennis. Almeno dovrebbe, perché non di rado molti si dimenticano di averlo e non lo usano sarebbe utile e funzionale.

Novak Djokovic. Dietro e in alto.

Oscillazione e rotazione.

Come è stato già ampiamente discusso possiamo ridurre ogni swing del tennis a due gesti fondamentali: un'oscillazione e una rotazione. Oscillazione del braccio racchetta dall'alto verso il basso e una rotazione del copro nella direzione della rete e del campo avversario. La mano che va sul cuore della racchetta o spara l'altra mano nei rovesci bimani svolge un ruolo preliminare essenziale per stabilire l'entità sia dell'oscillazione che della rotazione del busto.
Più il braccio è attivo maggiore sarà la su influenza. Nel rovescio tira un po' verso l'alto e all'indietro la racchetta e nel dritto spinge un po' verso l'alto e indietro.

Justin Henin

Questa azione consente di sfruttare maggiormente la discesa della racchetta e la rotazione del busto. Più la racchetta sarà in alto e maggiore sarà l'energia potenziale gravitazionale da sfruttare. Maggiore sarà la spinta indietro nel dritto e la trazione nel rovescio e maggiormente le spalle ruoteranno verso il fondo del campo, permettendo di avere un maggiore spazio per l'accelerazione della racchetta in successione alla rotazione del corpo in avanti.
Non dimentichiamo il braccio non dominate svolge un ruolo importante. Push back. Pull back. Spinge indietro e tira indietro dal cuore o dal manico come nel caso di Djokovic o di coloro che giocano il rovescio a due mani.

Roger Federer. Dietro e in alto.

Questa azione è comune a tutti i colpi; rovescio a una mano e a due, dritto e rovescio in back spin. In sostanza tutti i fondamentali da fondo campo. Ma svolge un'azione significativa anche nell'esecuzione delle volée seppur di minore rilevanza.
Consente di gestire l'ampiezza dell'oscillazione e della rotazione in avanti. Di conseguenza consente, in qualche modo, se saputa gestire, di gradualizzare la velocità del braccio racchetta con una gestualità dell'intero corpo e in decontrazione muscolare. Ogni giocatore troverà la propria personalizzazione del gesto cercano la comodità di esecuzione in base alle proprie caratteristiche.

Dritto e rovescio a traino? No grazie.


Tornando sull'argomento della catena cinetica e delle rotazioni sembra che si faccia fatica a trovare argomentazioni che mettano tutti d'accordo. Purtroppo nel tennis non di rado sembra di stare nel Far West del diciannovesimo secolo con le carovane che si fermano nei paesi per vendere la propria pozione magica ed espedienti superficiali come soluzioni.

Il Far West del tennis

Ci sono coach internazionali noti che non evitano di fornire suggerimenti poco chiari, suscettibili di fraintendimenti ed non di rado proprio errati. Avere delle incertezze in gioco è fatale, ma soprattutto giocare per dieci anni in un modo e poi cambiare può annientare ogni ambizione, pertanto è opportuno tornare su alcuni punti della questione.

Per quanto riguarda le rotazioni, le accelerazioni, il passaggio della mano con le spalle che seguono è sufficiente fare un giro su internet per divertirsi. La convinzione che, in alcuni casi sfocia in ottusità, non si smuove nemmeno davanti ai filmati, spesso, figuriamoci davanti ad una argomentazione. Però l'evidenza per chi affronta la questione con una mentalità senza preconcetti è chiara.

Rotazioni efficienti. Scegliamo bene.

Se in preparazione giriamo le spalle dando la schiena alla rete quale sarà il vantaggio di anticipare il movimento con il braccio? Nessuno. Il corpo che segue il braccio sarà una zavorra trascinata dal braccio stesso, non c'è trasferimento di energia verso l'esterno, anzi è il contrario. Un braccio racchetta più veloce del corpo che tende a far girare una persona di 70, 80 a volte 90 chili. Roger e Federer e Rafael Nadal pesano 85 chili circa, Matteo Berrettini è sopra i 90. Il corpo diventa una zavorra. Il busto viene trainato dal braccio, condizione che comporta uno sforzo aggiuntivo rendendo lo swing meno efficiente.

Le dinamiche sia del dritto che del rovescio sono evidenti nel primo filmato: il rallentamento della rotazione e il blocco della rotazione fanno sì che l'energia cinetica si trasferisca al braccio racchetta, il quale avrà una velocità di partenza più alta di zero in relazione alla velocità di rotazione stessa.

Nel secondo filmato si vedono Marian Vajda e Novak Djokovic che discutono questo aspetto. Anche se l'audio non è chiaro la mimica chiarisce che stanno parlando di questa dinamica per metterla a punto.


Ovviamente imparare a giocare solo con il braccio è la cosa più semplice e più immediata per iniziare a fare i primi scambi, ma se si hanno delle ambizioni agonistiche e soprattutto se si nutrono speranze di imparare un tennis di alto livello è fondamentale iniziare il prima possibile ad acquisire dimestichezza con  le dinamiche di un colpo più complesso nella sua costruzione. Con il braccio che si "aggancia" alla velocità del corpo i vantaggi sono molteplici. La maggiore efficienza del gesto unita ad una maggiore velocità di esecuzione consente di avere e mantenere per più tempo un tennis competitivo.

Idee chiare da giovani.

La successione degli eventi deve essere chiara e non devono esserci dubbi, nemmeno a livello inconscio, nella mente dell'atleta di quello che si è chiamati a fare; del motivo per cui si corre per arrivare bene con le gambe. Nel terzo filmato Mouratoglou non è chiaro nelle spiegazioni, il concetto esposto è quello che l'accelerazione della mano anticipa l'azione del corpo e delle spalle. Questo crea confusione e può innescare dei blocchi nella crescita tecnica.


La transizione da un tipo di colpo all'altro va effettuata in modo consapevole e cosciente. In modo da acquisire gli automatismi il prima possibile e affinché si abbia nel proprio bagaglio tennistico un bagaglio di conoscenze che aprono molteplici possibilità di crescita e miglioramento.

La vittoria passa da un cambio di paradigma

Equilibri

Equilibri e nuovi obiettivi.

La ridefinizione degli obiettivi da raggiungere è un mezzo che permette di ridurre le problematiche delle sconfitte. Le probabilità di successo aumentano con un cambio di concezione che non mette la vittoria come obiettivo finale da raggiungere.

Lo spostamento dell’attenzione verso la massima soddisfazione nel gesto atletico e nell’esecuzione tecnica come obiettivi principali svincola la prestazione dalla vittoria finale, la quale diventa una conseguenza dell’esperienza atletica, tecnica e di gioco. Vittoria e sconfitta divengono indici di riferimento e non dovrebbero essere nemmeno gli unici indici, tanto meno assoluti.

Le conseguenze di un fallimento vengono smussate perché sono inserite in un percorso come elementi connaturati e propedeutici per raggiungere il proprio scopo di crescita atletica personale.

Gli atleti professionisti sono valutati in base ai risultati, il metodo non può essere evitato per tenere classifiche e archivi storici, ma se a livello personale la vittoria non è considerata come principale obiettivo finale ma come una conseguenza, la sconfitta sarà liberata dall’associazione al fallimento. Sarà solo uno dei tanti indicatori dello stato di un percorso, e così la vittoria, la quale perderà, a sua volta, il valore emotivo assoluto di obiettivo raggiunto.

Una più stringente correlazione tra vittorie, sconfitte e propria realizzazione personale ha come rischio connaturato quello di associare il fallimento a se stessi come persone, invece di considerarlo un modo di valutazione del percorso atletico e tecnico intrapreso, a volte un addirittura un inconveniente o un semplice risultato.

La sconfitta viene sconfitta.

Cambiando l’obiettivo primario dal raggiungimento di determinati risultati (vittorie) alla creazione di una predisposizione ambientale e personale per raggiungere un'ottimale esperienza sportiva atletica e tecnica le conseguenze delle sconfitte vengono attenuate e le probabilità di successo aumentano.

La definizione chiara delle tappe di un percorso di crescita sono alla base di questo cambio di paradigma e ampliano le possibilità di sviluppo sia nei giovani che negli atleti avanzati. Questo permette di affrontare sfide sempre più complesse e spostare in avanti gli obiettivi abbassando i livelli di ansia da prestazione.

Essendo il tennis uno sport altamente tecnico questo si concretizza nel cercare di focalizzare l’attenzione il più possibile sull’esecuzione del gesto, evitando di rimanere emotivamente coinvolti dall’andamento del punto e della partita.

Focalizzati sulla tecnica e non sul risultato.

In uno sport in cui si deve indirizzare una pallina del diametro di 6,86 cm nel campo opposto i modi per sbagliare possono avere molteplici cause e non raramente può capitare di commettere errori anche se l’esecuzione tecnica è corretta.

Può altresì accadere di vincere dei punti commettendo errori tecnici, pertanto prendere la realizzazione del punto come unico riferimento può essere fuorviante, inibire la crescita o renderla incostante.

Un’eccessiva attenzione al risultato, la ricerca della vittoria ad ogni costo, considerarla l’obiettivo principale e l’unico metro dell’apprendimento può portare ad una distorsione anche dell’equilibrio psicologico. Può creare frustrazione in caso di sconfitta e assuefazione in caso di vittoria. Al contrario concentrarsi sul raggiungimento di un'esperienza ottimale e piena, sia atletica che tecnica, riduce le conseguenze della sconfitta, aumenta le possibilità di vittoria e innesca un percorso virtuoso di crescita e sviluppo.

Oscillazioni

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