Ancora Agassi, Vic Braden e la falsa sensazione dovuta al tempo e allo spazio di dimora della palla sul piatto corde

Rublev entrata dell'impatto

In inglese è Dwell Time ovvero tempo di dimora. Si tratta del tempo che la pallina rimane sul piatto corde nel momento in cui viene colpita. È relativamente breve, anzi brevissimo. Pochi millisecondi: da cinque a sette a seconda della tensione delle corde. Si tratta del tempo, ma se abbiamo il tempo e la velocità possiamo calcolare lo spazio, perché la velocità è data dallo spazio diviso il tempo e quindi lo spazio si può trovare moltiplicando il tempo per la velocità.

Ho più che un sospetto che il grande dibattito sull’uso del polso e della pronazione, in modo attivo, al momento dell’impatto sia dovuto a una falsa sensazione del giocatore. Affidarsi solo alle sensazioni può essere controproducente, è quindi opportuno valutare questo aspetto secondo i principi del tennis scientifico per avere un impatto più efficiente coniugando massa, raggio e velocità del braccio racchetta.

Il dubbio viene anche perché sovente gli stessi giocatori professionisti nel mimare il gesto a vuoto del colpo di dritto, soprattutto dopo un errore, si soffermano sulla fase di rilascio dell’avambraccio, mimando una pronazione, quasi esasperata, per chiudere la faccia della racchetta verso il basso.

Tsitsipas, entrata dell'impatto, con palla già uscita.

È il vero modo con cui iniziano l’impatto? È utile dal punto di vista biomeccanico ridurre il raggio dell’oggetto che collide, diminuendone anche la massa e aumentando, forse, solo la velocità di un oggetto ridotto? Molto probabilmente no, per non dire sicuramente no. Ma è molto probabile che i giocatori non inizino l’impatto con questo gesto, nonostante possano avere la sensazione di farlo. L’azione è molto probabilmente posticipata nella fase immediatamente successiva della collisione: durante il tempo di dimora, che è anche uno spazio di dimora della pallina sul piatto corde. Perché se 5 ms possono sembrare pochi 15 cm possono sembrare sufficienti. Infatti se il nostro braccio racchetta procede a una velocità 100 km/h, dato il tempo di dimora di circa 5 o 7 ms, è molto semplice calcolare lo spazio durante il quale la pallina rimane sul piatto corde nell’esecuzione dello swing. Infatti essendo 100 km/h circa 27,7 m/s è facile osservare che il tempo percorso in 5 ms è di circa 0,13 m, poco più di 1 dm. Ovviamente maggiore sarà la velocità più lungo sarà lo spazio percorso durante un determinato periodo di tempo, ecco che 13 cm possono essere uno spazio sufficiente affinché un giocatore abbia la sensazione di passare sopra la palla con pronazione attiva, confondendo l’attimo della collisione con la durata brevissima della stessa. 

In questo caso la collisione avverrebbe con il massimo raggio, ad altezza spalla, e nel corso del tempo e dello spazio di dimora l’asse di rotazione tenderebbe a ridursi in virtù del rilascio dell’avambraccio e della pronazione lo stesso. L’entrata dell’impatto però è avvenuta con tutto il braccio racchetta che passa dal basso verso l’alto imprimendo rotazione alla palla e solo successivamente avviene la pronazione dell’avambraccio come bene evidenziato al maestro Vic Braden nella video analisi di André Agassi che abbiamo commentato anche su questo blog.

Non credo che il nostro cervello sia in grado di distinguere tra pochi millisecondi, la sensazione dell’impatto sarà quindi complessiva, un tutt’uno, e proprio per questo motivo rischia di essere fuorviante dal punto di vista esecutivo e tecnico. L’aspetto cinestetico non aiuta, a mio parere, in questo caso, perché non può esserci una manipolazione dell’impatto c’è solo la sensazione di averla.

Djokovic. Palla già uscita.

Questa condizione può portare con sé come conseguenza una serie di errori gratuiti ed una inconsistenza del nostro colpo, perché si cerca di riprodurre una sensazione distorta della realtà cercando di imprimere la rotazione alla pallina, o in alcuni casi la direzione, con una pronazione attiva dell’avambraccio, con un uso attivo del polso, tentando di manipolare l’impatto. Ovvero il giocatore cerca di colpire pronando con la conseguenza che anticipa il movimento dell’avambraccio ad una frazione di secondo prima della collisione o nell’attimo stesso della collisione e con questo poco tempo è pressoché difficilissimo, se non impossibile, controllare l’angolazione della faccia della racchetta. Il risultato nei casi migliori è un colpo debole, corto, senza energia. 

Per questo è fondamentale avere una visione razionale e scientifica estremamente chiara del dettaglio dell’esecuzione, andando ad indagare ogni singolo aspetto con un metodo analitico. Se la massima efficienza del colpo si ha coniugando la massa, il raggio e la velocità del braccio racchetta, indipendentemente dalla nostra sensazione di gioco, ogni giocatore dovrà ricercare l’impatto con la maggiore massa possibile, il maggior raggio possibile di esecuzione e la maggiore velocità di tale massa in relazione al raggio prescelto.

L’allenamento e gli ambiti di personalizzazione tecnica dovranno tenere conto di questi fattori in relazione alla comodità del gesto dell’atleta e al numero di errori commessi, ovvero la consistenza nel tempo dei propri colpi.

Giocate con l’intero corpo. Non tentate di manipolare l’impatto, non c’è tempo e lo spazio è poco per un’effettiva manipolazione, è sufficiente solo per una sensazione equivoca.


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