Ormai in tutti gli sport da parte di giocatori, allenatori e giornalisti si sente pronunciare la frase: “è un problema di testa, un problema mentale”. È diventato un mantra, una ripetizione continua, ma la frase pronunciata in questo modo non chiarisce bene la questione, perché è troppo generica. È un’indicazione astratta che non identifica su cosa la nostra mente dovrebbe focalizzarsi. In questo modo ho il timore che il problema rischi di aumentare. Su cosa dovrebbe concentrarsi la nostra mente? In cosa dovrebbe essere impegnato il nostro cervello?
Senza un’identificazione concreta dell’oggetto su cui riporre la nostra attenzione il problema rischia di essere di difficile soluzione. Ma siamo già un passo avanti perché il verbo
“concentrare” identifica l’attività che la nostra mente deve svolgere. Senza questa circoscrizione di ambito vagheremmo ancora di più nel buio, anzi nel
vuoto mentale. Quindi già la domanda fornisce delle indicazioni per trovare la soluzione. Infatti la concentrazione è una
qualità del cervello che si può
allenare. La definizione di
Wikipedia è esemplificativa:
“è la capacità cognitiva, tipica dei mammiferi di esprimere energia in un determinato movimento fisico o intenzione; nell'uomo, è la capacità volontaria di fissare il pensiero su un oggetto o sul compimento di un gesto o di un'azione predeterminata ed elaborata dalla propria mente”.
Ora sappiamo tutti che la concentrazione di una persona non è costante, ha dei cali, degli alti e bassi ma essendo un’attività volontaria può essere allenata entro i limiti delle possibilità individuali. Siccome non è una capacità cognitiva specifica ovvero non c’è una
concentrazione specifica per il tennis, una per il basket, una per il cucito o una per lo studio a scuola questo implica che allenare la propria
concentrazione è in linea generale indipendente dall’attività che svolgiamo. Se impariamo a rimanere concentrati a lungo nel cucire questa abilità potrà essere trasferita in altri ambiti.
Probabilmente saremo da subito in grado di rimanere più a lungo concentrati durante uno scambio di tennis, la guida di un auto o una partita a scacchi. Per migliorare la propria abilità di rimanere concentrati sul
compito che stiamo svolgendo “
the task on the hand, il compito sulla mano”, come dicono gli americani, non è quindi necessario
prenotare un campo da tennis. I ragazzi dovrebbero sapere che se cercano di migliorare la propria
concentrazione nello studio,
a scuola, cercando di
leggere più a lungo o di mantenere la propria focalizzazione mentale sullo scrivere un tema o un
problema di matematica la capacità acquisita è immediatamente trasferibile nella
pratica del loro sport preferito. La capacità di concentrazione è, con i dovuti accorgimenti, indipendente dall’oggetto, inteso nel senso di compito (movimento fisico o attività), su cui si focalizza.
Siamo ora difronte al secondo aspetto e qui dobbiamo entrare nello specifico del nostro sport. Le abilità di concentrazione su cosa si devono indirizzare nel tennis? La risposta è ovvia:
la tecnica di esecuzione del colpi. La nostra mente deve essere concentrata sulla tecnica di esecuzione la cui conoscenza deve essere
la più completa possibile in ogni parte del movimento. È importante non dare niente per scontato.
La conoscenza teorica è fondamentale per imparare l’esecuzione pratica, quest’ultima va poi acquisita sul campo giocando e qui entra in gioco
il processo di feedback.
Che cosa è un meccanismo a feedback o retroazione? È un congegno che consente
l’autoregolazione di un sistema. Quello che permette la regolazione della temperatura dell’acqua nei nostri scaldabagni per esempio (feedback negativo). Quando l’acqua raggiunge la temperatura desiderata un termostato permette lo spegnimento della serpentina in modo che l’acqua non continui a scaldarsi.
Nel tennis un meccanismo simile entra in gioco per imparare l’esecuzione di un
modello teorico di colpo. Se la pallina esce dal campo questo dovrebbe significare che c’è un errore nell’esecuzione del colpo e quindi dovremmo cercare di capire dov’è l’errore di esecuzione rispetto al modello teorico di riferimento.
Il feedback del colpo sbagliato non dovrebbe mettere in
discussione il modello teorico, il quale in questa fase va considerato corretto perché elaborato in precedenza da maestri e giocatori che lo hanno cristallizzato giocando senza indicazioni o istruzioni particolari.
Esistono tre modi per utilizzare le informazioni del feedback:
1.
Verificare la correttezza dell’esecuzione;
2.
Verificare la correttezza di un modello;
3.
Creare uno nuovo modello di riferimento.
Il punto due e il punto tre, ma soprattutto quest’ultimo richiedono
molto tempo, un tempo che può essere addirittura infinito in assenza di altre informazioni anche generali, visive (TV) o spiegazioni anche sommarie.
In linea teorica potremmo prendere una
scimmia e dargli una banana tutte le volte che la palla cade nell’altro campo e sperare che acquisisca una buona tecnica e, con molto tempo a disposizione se è fortunata potrebbe anche
giocare come Roger Federer, ma potrebbe acquisire dei difetti anche macroscopici (colpire con il manico, con la stecca) e accontentarsi delle banane che riceve seppur non molte, ma per lei sufficienti.
Una indicazione di qualunque tipo anche non accurata limita il numero dei modelli di riferimento utilizzabili, scartando quelli macroscopicamente errati. Un vantaggio non da poco ma non sufficiente per ottimizzare il tempo sul campo da tennis perché la nostra mente potrebbe conservare
dei dubbi sulla correttezza del modello di riferimento. Mettendolo in dubbio anche inconsciamente si possono
innescare indecisioni che si ripercuotono sullo
sviluppo tecnico, sui
tempi di apprendimento e sull’
efficacia di gioco. In uno sport estremamente tecnico come il tennis sarebbe un problema non da poco.
Al contrario la piena conoscenza e la conscia consapevolezza della correttezza del modello permette che il feedback di riferimento sia riferibile solamente sull’esecuzione.
Quando iniziamo a correre per andare a colpire una pallina la nostra mente deve essere concentrata sul come farlo e deve essere
certa della correttezza del gesto. Più questo
sapere è sicuro e certo più il problema di testa tenderà a sparire. Sappiamo come muoverci, sappiamo perché ci muoviamo in un certo modo e in caso di errore sapremo riconoscere la sua causa (e se si conosce la causa di un problema la soluzione è più vicina).
Un aspetto cruciale in questo processo è quello della
comunicazione. Fraintendimenti e
incomprensioni devo essere limitati e
tendere allo zero perché finirebbero per creare dei malintesi sul modello di riferimento rallentando l’apprendimento esecutivo. Il
confronto tra il maestro e gli allievi, tra il coach e gli atleti, deve pertanto essere
continuo, condiviso, franco, libero da ogni soggezione e orientato alla semplificazione e chiarificazione cristallina di ogni particolarità tecnica, anche mettendosi in dubbio come maestri, coach o allenatori.
In questo modo penso si possa
ridurre della metà le ore di gioco necessarie all’apprendimento di una
buona tecnica di base e
velocizzare sensibilmente i miglioramenti in un atleta agonista evitando inoltre di ricadere in generici problemi di testa. I vantaggi sarebbero diffusi ed evidenti sia per il movimento tennistico che per i circoli, grazie all’aumento del numero di giocatori sempre più gratificati dal miglioramento del proprio bagaglio tecnico e del gioco.
Nel caso in cui i
miglioramenti non dovessero arrivare entro un arco di tempo stabilito dall’allenatore con l’atleta è opportuno intervenire seguendo uno schema chiaro:
1. Prima fase controllare l’esecuzione del modello di riferimento.
2. Se non ci sono errori di esecuzione controllare che il modello sia stato comunicato correttamente e sia stato correttamente acquisito.
3. Se il modello è stato comunicato e acquisito correttamente verificare la correttezza tecnica del modello stesso.
Se dovessimo trovarci nella fase numero tre (mai dare qualcosa per scontato) sarà opportuno rielaborare un nuovo modello di riferimento che in caso di atleti agonisti può essere anche mirato alle loro caratteristiche e peculiarità. In questo caso però ci troveremmo davanti a un
processo più lungo per le ragioni esposte in precedenza (un feedback di lungo periodo sul modello). Lo schema dell'immagine esemplifica il
processo che diviene circolare.
La creazione di un nuovo modello serve anche per cercare un
miglioramento tecnico è avvenuta per esempio con il
passaggio dalla
tecnica classica del dritto a quella del dritto moderno con il polso
a 90 gradi.
Stay tuned